Riceviamo e riportiamo dalla mailing list del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, in lotta nella Taranto che brucia “a caldo” nella questione ILVA, la testimonianza di solidarietà e la breve sintesi della lotta dei lavoratori della Bagnoli, nelle parole che un ex operaio bagnolese rivolge ai tarantini del Comitato. Più di 20 anni fa si chiudeva il capitolo di quell’altro stabilimento ILVA, con un lungo percorso di bonifica, ma con conseguenze deludenti per gli operai che portarono avanti la lotta che vi si svolse. Ma proprio perciò la regola da seguire, ora come allora, è sempre la stessa, e viene riconsegnata e ribadita con forza, e va perseguita ancora: non cercare la compatibilità tra il padronato e le rivendicazioni dei lavoratori, non sottostare alle logiche padronali e al ricatto economico.
E’ inoltre interessante ed attualissima anche la critica inserita nell’articolo allegato, nel momento in cui si fa accenno alla probabile speculazione edilizia conseguente alla bonifica (una eventualità che bisognerebbe non escludere a priori nella vicenda tarantina, dove, se pure accadesse di assistere alla fine di un mostro, potrebbero aprirsi le porte ad altri cento), e la determinazione nell’affermare la stringente necessità di un coordinamento più vasto tra le lotte attuali.
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Da: ioriovincenzo@inwind.it <ioriovincenzo@inwind.it>
Date: 01 ottobre 2012 14:31
Oggetto: solidarietà alla lotta per la difesa del posto di lavoro
A: comitatocittadinioperaitaranto@gmail.com
Cari lavoratori, sono un vostro collega, ex lavoratore dell’ILVA di Bagnoli, che prima di voi ha vissuto le vicissitudini della chiusura della fabbrica.
Come voi ho lottato assieme ai miei compagni, senza che la solidarietà di classe divenisse concreta lasciandoci nel tragico isolamento che ha determinato la sconfitta di un gruppo che sembrava imbattibile.
E’ ancora cocente il dolore provato al termine di un pezzo di storia operaia da me vissuto intensamente, tanto che ho sentito il dovere di porgervi la mia solidarietà anche se individuale.
Nell’ascoltare e leggere le notizie relative alla vostra lotta, ho ritrovato in pieno la situazione che c’era a Bagnoli all’inizio degli anni 80, ed avendo fatto fino in fondo il percorso che di accordo in accordo ci ha condotto alla chiusura dell’area a caldo e poi dell’intera fabbrica, ho pensato di scrivervi, per testimoniarvi di una storia che potrebbe esservi utile per non commettere i nostri stessi errori.
Se voi lo desiderate potete scrivermi e chiedermi tutti i documenti riguardanti la lotta dei caschi gialli bagnolesi, nella speranza di essere utile ad una causa che continuo a ritenere la mia causa.
Vi allego un breve articolo [riportato di seguito, n.d.r.] pubblicato sul Bollettino Operaio “IL CUNEO” edito nel giugno 1997 a testimonianza delle situazioni che appaiono comuni senza contare la diversità del periodo in cui le due storie sono avvenute. […]
Una sola cosa si può affermare con assoluta certezza: “l’unità di tutti i lavoratori di tutte le categorie la più estesa possibile sul territorio nazionale ed europeo, che non abbia limiti di tempo, che rivendichi lavoro e salario indipendentemente dai bisogni padronali” è l’unica via per vincere.
Collegarsi subito con tutti i lavoratori in lotta attualmente creando un coordinamento che renda unica la battaglia è la parola d’ordine.
ANNASPANDO NELLA BAGNOLI S.P.A.
Ciò che rimane dogli 8000 lavoratori dell’ex ITALSIDER di Bagnoli, circa seicento uomini, vivono la loro ultima stagione lavorativa, inquadrati nella società Bagnoli S.p.A. I “caschi gialli” stanno effettuando i lavori di bonifica dei suoli dell’ex sito siderurgico, per rendere quell’area pronta ad essere trasformata in una non ben definita zona turistico alberghiera, come il sindaco Bassolino e la sua giunta, dicono di aver previsto. Nulla, però, è dato sapere sulla sorte di noi lavoratori al termine delle attività di bonifica, la cui ultimazione è prevista per la primavera/estate del 1999, come sancisce l’ultimo accordo sindacale siglato a fine luglio 1996.
Questa condizione di incertezza per il futuro, ci fa vivere in maniera angosciante la nostra attività di “rottamai”, ed il ricatto della cassa integrazione sempre in agguato, ci fa addirittura annaspare, in un ambiente di lavoro asfissiante, nel quale, ridotti ad individui, stiamo perdendo l’antica fierezza operaia, lasciando spazio ad una sempre crescente arroganza di capi e capetti sempre più in auge.
Nel frattempo i piani del comune continuano a cambiare sotto le spinte di interessi economici contrastanti lasciandoci in dubbio se alla fine partoriranno “la nuova Marsiglia” o come è molto più probabile, una nuova colata di cemento, per garantire i profitti alla borghesia palazzinara napoletana.
Noi operai, comunque vadano le cose, siamo senza un futuro occupazionale ed il nuovo mercato del lavoro, gentilmente offerto ai padroni dal “governo amico” e dai suoi sostenitori sindacali e politici fa il resto. Il pacchetto Treu, i patti d’area che abbassano il costo del lavoro a livelli quasi “albanesi”, e lo rendono flessibile alle esigenze aziendali, mettono in concorrenza tra loro, vecchi e nuovi occupati espellendo dal processo produttivo i lavoratori protetti da “vecchi” contratti.
In queste poche righe, c’è la sintesi del nostro malessere che rendiamo presente agli altri lavoratori, nella speranza di fornire un chiaro esempio del perché non bisogna accettare di difendere i nostri interessi sulla linea politica delle compatibilità con i bisogni padronali, siano essi nazionali, federali, comunali, aziendali.