Il primo Maggio a Bitonto: la festa dei compagni dall’animo forte.

A Bitonto, quest’anno, il Primo Maggio, in mezzo alla piazza, salutando i compagni venuti da fuori, ma non da troppo lontano, parlando con la gente, discutendo di armoniche a bocca con gli anziani del posto, mentre i fonici montano gli ultimi microfoni sul palco. La Piazza è frizzante. Non ci sono grosse aspettative, non ci sono grossi nomi, non ci sono eroi per cui morire, insomma. Solo tenace volontà, ottimo vino, calorosa accoglienza, e il coraggio dei “compagni dall’animo forte” come piace dire a Gino Ancona, per dire quello che negli altri festacchioni allestiti un po’ ovunque lo stesso giorno, nessuno ha più il coraggio di dire: e cioè che il primo maggio non è una festa, ma la ricorrenza di una tragedia, che stroncò, più di cent’anni fa, chi si batteva per la dignità dei lavoratori, per chiamare lavoro qualcosa che possa essere chiamato tale e non per quell’odierno redditificio a base di sfruttamento che logora una deficiente umanità con una catena al collo, per far ingrassare, oggi come ieri, i padroni.

Il Primo Maggio non ci sono mica soldi, nessun finanziamento, nessun cachet, nessun contratto, nessuna carta, niente di niente. E la gente, attorno, ci sta comunque. E’ il Primo Maggio, organizzato dal Circolo Giordano Bruno, che non pretende, non deve affascinare, non ha nulla da imporre all’attenzione della gente: perché la gente è già attenta. E’ un Primo Maggio talmente autentico, in mezzo a baggianate spettacolari sparse un po’ per tutta Italia, che fa scalpore proprio la sua convinta densità di contenuti, la sua leggiadra convivialità, il suo essere fiero, del popolo e fra il popolo, sapendo di esserlo. Fare la rivoluzione come se fosse la cosa più banale del mondo: è questa la sfida odierna dei veri rivoluzionari, visto che attorno si fa a gara a chi strilla di più per essere in prima fila per la salvezza del pianeta, del lavoro…e del reddito (origine di tasse, fonte di mazzette, presupposto dell’inquinamento, non scordiamolo mai: c’est l’argent qui fait la guerre).

Dunque c’è stata, sin dall’inizio, una vittoria della necessaria memoria storica e della serietà, in un’atmosfera gradevole, mai pacchiana: abbiamo saputo essere compatti anche di fronte ai megawatt di un concertazzo che l’amministrazione comunale, a spese dei fessi, aveva organizzato proprio dall’altra parte di Piazza Cavour, lasciandoci irrimediabilmente in inferiorità numerica dal punto di vista dei decibel. Tutto ciò nonostante l’anarchismo locale fosse stato il primo a prenotare la piazza per poi vedersi piombare telefonate intimidatorie che, con pretestuose questioni di “ordine pubblico”, pretendevano lasciar lo spazio alla kermesse del sindaco che offendeva il Primo Maggio. Numerosi problemi risolti con fermezza, con la forza della determinazione: eravamo noi, a celebrare il Primo Maggio. La gente ha lasciato il concertazzo a ribollire nel proprio sterile brodo, preferendo sentire cosa avevano da dire poeti, attori, cantanti, suonatori e ballerini, sul palco e sotto il palco. Un palco che non divideva niente e nessuno per tenere a mente le parole di Gino Ancona, di Franco Mundo, di Stefania Bove, dei Compagni di Lecce e via via di tutti gli altri. E in breve si è riscoperto la capacità di stare attenti, l’aver piacere nell’ascoltare l’altro criticamente: più di tutti quel sentimento di forza dirompente che c’è nell’avvertire, nella partecipazione, in un momento, in un processo, in una storia comune.

E allora questa storia comune, i Martiri di Chicago, la rivolta di Haymarket e il Primo Maggio sino a Bitonto la rispiegheremo l’anno prossimo. Perché l’anno prossimo saremo di nuovo lì, il Primo Maggio, in piazza, tra la gente.

 

per il Circolo “Giordano Bruno”

Andrea Bitonto


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