In quella sede, dopo un breve excursus storico, si tentava di cogliere la sostanza delle difficoltà che hanno contraddistinto (e contraddistinguono) i rapporti tra organizzazione sindacale libertaria e rivoluzionaria e movimento anarchico organizzato. Si rilevava la necessità che questi rapporti tutelassero l’autonomia e l’indipendenza del sindacato nel rispetto reciproco tra organizzazione politica e organizzazione sindacale.
Tuttavia a questa necessità si può consentire in modo assolutamente formale, risolvendola in una pura separazione tra due ambiti nettamente separati, in una sorta di divisione del lavoro: da un lato l’attività politica rivoluzionaria, dall’altro la difesa economica dei lavoratori affidata alla lotta rivendicativa, anche la più radicale.
Questo non risolve – e non ha mai risolto – il problema. A questa visione di principio hanno sempre consentito – a parole – i grandi sindacati riformisti, fossero di ispirazione socialdemocratica, comunista o cattolica. Nei fatti, invece, il sindacato è sempre stato considerato “cinghia di trasmissione” delle istanze politiche delle “avanguardie” e per la verità questo atteggiamento l’hanno avuto anche molti anarchici, tra i quali citiamo solo l’esempio illustre di Errico Malatesta… Ed è proprio questa attitudine che spesso rende, e ha reso, parole vuote l’autonomia e l’indipendenza del sindacato rivoluzionario. Nella sostanza la mancanza di una definizione del suo progetto.
Tutto ciò ci riporta al sopracitato congresso internazionale anarchico di Amsterdam del 1907 e al serrato dibattito che vi si svolse, tra, appunto, Malatesta e Pierre Monatte, allora giovane sindacalista rivoluzionario della CGT. Proprio a Monatte dobbiamo una delle più lucide esposizioni dei capisaldi del sindacalismo libertario e rivoluzionario e della necessità della concretezza e dell’autosufficienza del suo progetto.
Apre infatti il suo intervento dichiarando:
“Il mio desiderio non è tanto darvi un’esposizione teorica del sindacalismo rivoluzionario quanto di mostrarvelo all’opera e , così, di far parlare i fatti. Il sindacalismo rivoluzionario, a differenza del socialismo e dell’anarchismo che l’hanno preceduto nel corso del tempo, si è affermato meno per le teorie che per gli atti, ed è nell’azione più che nei libri che si deve andare a cercare” e più avanti: “Il sindacalismo, ha proclamato il Congresso d’Amiens nel 1906, è sufficiente a se medesimo. Queste parole, io lo so, non sono sempre state ben comprese, nemmeno dagli anarchici. Che cosa significa ciò se non che la classe operaia, diventata matura, capisce infine infine di bastare a se stessa e non aver bisogno riporre su alcuno la realizzazione della propria emancipazione. Quale anarchico potrebbe trovare da ridire ad una volontà d’azione così decisamente affermata?” (1)
Due, quindi, le affermazioni forti: il fondarsi del sindacalismo rivoluzionario sulle pratiche più che sulle teorie ed il suo essere sufficiente a se stesso in quanto nel suo ambito e solo in quello la classe operaia divenuta matura, trova gli strumenti per costruire la propria emancipazione. “Agir par soi-même, ne compter que sur soi-même” (2) precisa infatti Monatte.
Ma quali sono questi strumenti, peculiari della concezione sindacalista rivoluzionaria?
“… si tratta dell’azione diretta. Questa, non c’è bisogno di dirlo, riveste le forme più diverse. Quella principale, o meglio la sua forma più eclatante, è lo sciopero. Arma a doppio taglio, si diceva poco fa: arma efficace e ben temprata, diciamo noi, e che, utilizzata con abilità dai lavoratori, può colpire al cuore il padronato. E’ con lo sciopero che la massa operaia entra nella lotta di classe e si familiarizza con le sue nozioni; è con lo sciopero che ella compie la sua educazione rivoluzionaria, che ella misura la sua forza e quella del suo nemico, il capitalismo, che prende coscienza del suo potere, che impara l’audacia.
Il sabotaggio non ha valore minore. Si può formulare così: a cattiva paga, cattivo lavoro. Come lo sciopero, è stato impiegato in tutti i tempi, ma solo di recente ha acquisito un significato veramente rivoluzionario. I risultati prodotti dal sabotaggio sono già considerevoli. Là dove lo sciopero si è mostrato impotente, è riuscito a spezzare la resistenza padronale” (3).
Azione diretta dunque, nella duplice forma dello sciopero e del sabotaggio (“A mauvaise paye, mauvais travail”). Sciopero però non politico, né semplicemente rivendicativo, ma come educazione rivoluzionaria e presa di consapevolezza dei lavoratori della propria forza in vista dello sciopero generale espropriatore che sancirà la fine del potere del capitale.
Questo a una condizione:
“Se l’espropriazione e la presa di possesso collettivo degli strumenti e dei prodotti del lavoro non possono essere compiute che dai lavoratori stessi, il sindacato è chiamato a trasformarsi in gruppo produttore e si trova ad essere nella società attuale il germe vivente della società di domani” (4).
Un punto chiave: il sindacato rivoluzionario non può limitarsi ad essere l’organizzazione di lotta dei lavoratori, deve costruire già dall’oggi le basi di una economia alternativa –autogestionaria e federalista, aggiungiamo noi – pronta a sostituire quella esistente basata sul profitto e lo sfruttamento capitalisti.
Infine:
“Il sindacalismo non promette ai lavoratori il paradiso terrestre. Domanda loro di conquistarlo e assicura che la loro azione non resterà vana. Il sindacalismo è una scuola di volontà, di energia, di pensiero fecondo. Apre all’anarchismo, da troppo tempo ripiegato su se stesso – delle prospettive e delle esperienze nuove. Che tutti gli anarchici vengano dunque al sindacalismo; la loro opera sarà più feconda, i loro attacchi contro il regime sociale più decisivi” (5).
Sappiamo come andò. Le concezioni espresse nella replica di Malatesta, convenzionali, fondate su un indifferentismo sindacale in linea con la tradizione anarchico-politicista, ebbero alla lunga la prevalenza. L’appello di Monatte restò largamente inascoltato, Il sindacalismo rivoluzionario e libertario percorse la sua strada, spesso la stessa del movimento anarchico, ma a volte no. Non c’è mai stata un’adesione complessiva degli anarchici al progetto rivoluzionario complessivo così ben espresso da Monatte, non ci sono stati nemmeno molti contributi critici costruttivi alle concezioni sindacaliste libertarie e rivoluzionarie. I risultati li vediamo oggi nella dispersione progettuale regnante, nell’impotenza a costruire e nella tendenza a ripercorrere i vicoli ciechi di altri modelli sindacali.
Guido Barroero
Note:
(1) Intervento di Monatte nella seduta del 28 agosto. La traduzione di questa e delle altre citazioni è mia.
(2) Ibidem
(3) Ibidem
(4) Mozione finale di Dunois, sottoscritta da Monatte, Fuss, Nacht, Ziélinska, Fabbri, K. Walter
(5) Intervento cit.