La goccia che scava la roccia

Con la manifestazione di domani assisteremo ancora una volta ad una grande mobilitazione su scala internazionale di persone che spenderanno molte energie nel tentativo di attuare un cambiamento nella società in cui vivono. Chi in buona fede, chi no. Chi consapevole, chi meno. Ciò che è innegabile ed evidente è la forza di queste azioni: centinaia di migliaia di persone che utilizzano la loro voce, la loro mente per un fine. In se questa cosa è grandiosa, solo che ne abbiamo già viste tante di queste mobilitazioni, di grandi e di piccole, alcune diffuse addirittura in vari continenti, altre localizzate solo in piccoli territori, ma la costante spesso purtroppo è l’inesorabile ritorno, i giorni o mesi successivi, alla normalità. Un po’ come quando si getta una pietra in uno stagno, l’acqua s’increspa, i cerchi si espandono concentricamente, ma poi tutto ritorna come prima. Lungi da me l’affermare che queste manifestazioni di dissenso popolare siano inutili, sono anzi convinto del contrario, ma purtroppo in Italia, da Genova in poi, ben pochi sono stati i risultati ottenuti con i “movimenti di piazza”.
Vorrei proporre qui una riflessione su di cui aprire un dibattito.
Non sarebbe più efficace portare avanti una battaglia quotidiana, magari meno rumorosa e spettacolare, ma molto più efficace e costante nel tempo?
Considerando tutti i manifestanti, in cui anch’io mi includo, quanto tempo ed energie dedichiamo al tentativo di opporci al sistema, e quanto tempo ed energie dedichiamo invece, nostro malgrado, a sostenere il sistema lavorando o consumando?

In realtà credo che il problema sia che per boicottare il sistema dei consumi sia necessario acquisire delle competenze, oltre alla costanza dell’impegno quotidiano. Manifestare un giorno invece, non richiede grandi competenze, e lo sforzo è limitato nel tempo. Certo, l’autoproduzione, il boicottaggio, l’autogestione sono cose diverse dalle manifestazioni. Ma con che diritto si manifesta contro qualcosa di cui non siamo in grado di fare a meno?                                 Giovanni Ceresoli