La gestione delle emergenze è da sempre un utile strumento per ridefinire e rinsaldare i rapporti di potere presenti nella società. Nel momento in cui migliaia di persone hanno perso tutto, obbligate fuori casa e costrette a mettere in dubbio quelle che fino a ieri gli apparivano come inconfutabili certezze, lo Stato, qualche fervente politico in cerca di consenso e gli onnipresenti specialisti di catastrofi e tragedie, come di consueto, si presentano sulla scena quali imprescindibili referenti, come intermediari ai quali è necessario appellarsi, gli unici in grado di farsi carico e accudire una popolazione che hanno reso sempre più dipendente, alienata e controllabile.
Il recente terremoto in Emilia non fa certo eccezione. L’unica sfortuna, per politicanti e avvoltoi, è che l’Aquila è un ricordo ancora troppo fresco, troppo vivo, affinché le loro manovre non puzzino di marcio fin dal primo momento…
All’indomani del terremoto
I terremoti del 20 e 29 maggio hanno colpito un’area che ha caratteristiche assai diverse da quella coinvolta dal sisma del 2009 in Abruzzo. Nella bassa modenese, infatti, non sono presenti grandi città, ma piuttosto si è in presenza di un insediamento polverizzato su un vasto territorio: piccoli centri, frazioni e singole abitazioni sparpagliate nelle campagne.
Questo ha consentito a moltissime persone, di fatto la stragrande maggioranza, di montare le tende e di allestire accampamenti direttamente fuori dalle proprie abitazioni – nei cortili, nei campi o anche nei parcheggi – e, allo stesso tempo, ha reso più difficile attuare, almeno nell’immediato, quelle forme di controllo messe in pratica nel 2009, con lo sgombero forzato delle abitazioni e il trasferimento in massa della popolazione nei campi per sfollati.
Nei campi della protezione civile sono quindi confluiti, fino a questo momento, principalmente coloro che non hanno avuto la possibilità di organizzarsi autonomamente, e cioè, in primo luogo, tutti coloro che risiedevano nei centri storici dei paesi colpiti. Per questa ragione nei campi della protezione civile è molto forte ed evidente la presenza di famiglie e di gruppi di migranti.
La cosiddetta macchina dei soccorsi…
La gestione dell’emergenza è, come sempre, nelle mani della Protezione civile, che per circa due mesi avrà pieni poteri e potrà promulgare ordinanze e direttive valide nelle zone colpite dal sisma. Questo, almeno, è quanto stabilisce il decreto approvato all’indomani del terremoto.
Nonostante ciò, la presenza sul territorio della protezione civile non è capillare come si vorrebbe far credere e, soprattutto, l’organizzazione statale non sembra assolutamente in grado di raggiungere e controllare tutti i luoghi colpiti. I campi spontanei, infatti, sono sorti dappertutto, in luoghi e modi differenti a seconda dei casi: in aperta campagna come nei parchi o nelle aiuole dei paesini, talvolta di piccole dimensioni (gruppi famigliari o di amici) altre volte più grandi e organizzati (anche alcune decine di tende). Definire queste situazioni come autogestite è forse eccessivo, in quanto al loro interno sopravvivono spesso le medesime logiche opportunistiche e di sopraffazione quotidianamente all’opera nella società. Ciò che però accomuna queste molteplici esperienze è la loro spontaneità e la loro autorganizzazione, il loro sorgere in modo indipendente e svincolato da qualsiasi apporto o suggerimento esterno, il loro porsi al di fuori del controllo dei Comuni e della protezione civile, se non, talvolta, in chiaro conflitto con essi.
Secondo i dati ufficiali, i campi istituzionali in provincia di Modena (e cioè quelli gestiti dalla protezione civile, dai comuni, dalla Misericordia o da organizzazioni istituzionali o para-istituzionali) sono 62, in questo momento, 35 dei quali gestiti direttamente dalla protezione civile. Questi ultimi, com’è noto, sono recintati e con varchi d’accesso rigidamente sorvegliati, anche se pare che non in tutte le situazioni il livello di controllo sia il medesimo. Il regolamento vigente all’interno di questi campi proibisce, tra le altre cose, di cucinarsi autonomamente, di consumare i pasti all’interno della propria tenda, di fumare, e molto altro ancora. La trasgressione a queste regole è punita con l’espulsione dal campo, e cioè con il più spietato dei ricatti per chi, suo malgrado, è costretto a vivere in queste situazioni.
…e la sua crescente militarizzazione.
Le differenze dalla situazione aquilana, come già detto, hanno reso impraticabile, almeno nell’immediato, il rigido controllo della popolazione e il suo programmatico spostamento.
La militarizzazione dei campi per sfollati e dei centri abitati è comunque molto forte e, con il passare del tempo, pare destinata ad aumentare.
Innanzitutto i centri storici dei paesi colpiti sono stati preventivamente dichiarati inagibili, recintati e definiti zone rosse. La conseguenza diretta è stata lo sgombero delle abitazioni, dei negozi e di ogni altra attività presente.
Per poter gestire questa situazione, l’afflusso di forze dell’ordine verso la bassa si è fatto via via crescente. Al 1° giugno l’organico di polizia, carabinieri e guardie forestali era già stato portato a 395 unità, oltre a 1160 tra vigili del fuoco e militari [solo nella Provincia di Modena]. In questi giorni, poi, con l’avvio dei sopralluoghi per la stabilità degli edifici, è stato annunciato l’arrivo di altre centinai di militari e vigili del fuoco, i primi anche in funzione di ordine pubblico. Secondo quanto è riportato dagli organi di stampa, e quanto richiesto dagli amministratori locali, questa presenza si protrarrà molto a lungo nel tempo.
Da segnalare, anche, la dislocazione in zona di squadre e unità del Reparto mobile di Bologna al fine di rafforzare la polizia del luogo nel pattugliamento delle strade, oltre che nella sorveglianza e nel presidio dei campi della protezione civile. Nonostante questa sgradita presenza, però, non si sono ancora verificati particolari impedimenti o restringimenti alla libertà di circolazione, con blocchi stradali, controlli sistematici di documenti o altro.
Lo stato d’eccezione
In base alla nuova legge sulla protezione civile pare che lo Stato non ripagherà, né ricostruirà, le case degli sfollati.
Il terremoto, purtroppo, non è riuscito a creare macerie né dei rapporti di potere, né della mentalità della gente.
L’ideologia della merce, della produzione e del consumo è spesso ancora imperante e, approfittando della paura e del desiderio di ricostruirsi la casa, molti padroni e padroncini stanno spingendo in tutti i modi per riprendere il lavoro nei capannoni industriali, e cioè proprio quei luoghi che, più di altri, si sono rivelati doppiamente mortiferi. Alcune aziende hanno espressamente intimato ai dipendenti di riprendere la produzione dopo aver firmato una liberatoria, ovviamente “volontaria”, che scagiona preventivamente il datore di lavoro da ogni possibile responsabilità in caso di crollo degli edifici.
Un’altra situazione molto grave è quella dei migranti, che in questi giorni stanno fuggendo in massa dai territori colpiti dal sisma. In mancanza di una casa, e quindi impossibilitati a trovare quel lavoro indispensabile per il permesso di soggiorno, si sentono ormai carne da preda per il vicino Cie di Modena. Il silenzio che circonda la difficilissima situazione dei migranti è davvero esemplare: carne da macello per la produzione nelle fabbriche, strumento di ricatto e dominio flessibile nei confronti degli altri lavoratori, schiavi da nascondere in qualche soffitta diroccata e poi, se necessario, rifiuti da rinchiudere in un campo per sfollati o domani, magari, direttamente in un centro di espulsione.
Nonostante queste situazioni, i campi o i nuclei di persone autorganizzate sono davvero moltissimi. In questo momento non c’è immediata necessità di cibo e acqua, ma piuttosto di materiali con cui costruire accampamenti durevoli per i prossimi mesi, in modo che tutti coloro che intendono sottrarsi ai ricatti e alle manovre della protezione civile, o dei soliti speculatori, abbiano la possibilità di farlo. Una volta passata l’attenzione degli sciacalli e dei media di regime, la solidarietà e il sostegno a coloro che hanno deciso di autorganizzarsi potranno diventare decisivi.
Lo stato d’eccezione, si sa, è un momento nel quale gli ordinari rapporti di forza con il potere possono essere modificati. In peggio, così come in meglio.
11 giugno 2012
Circolo anarchico Scintilla