Partiti e media scatenati contro il M5S. E’ comprensibile, gli sta togliendo belle fette di pane e companatico. Non accetta il ricatto della governabilità…meriterebbe il rogo!
Quello che, forse, non avverrebbe in un “paese normale” sarebbe il ricorso all’insulto di matrice staliniana: dagli al fascista, annientiamo il nuovo Hitler. Cose che andrebbero seppellite con una risata (ma chi li evoca ha presente cosa sono stati fascismo e nazismo?) e invece devono preoccupare, perché segnalano quanto sia profonda la ferita inferta nella cultura di massa. Ma non è di questo che voglio parlare.
Uno dei soggetti più scatenati contro il nascente nuovo fascismo è, indubbiamente, il PD. Quindi provo a riflettere sul rapporto di questo partito col concetto di destra. Spesso si sente invocare, nel PD, l’esigenza di una “destra normale”, che sarebbe da sempre assente nel quadro politico italiano.
A me pare, invece, che, da almeno 20 anni, esista (sia pure sotto mentite spoglie) una destra normale, o quasi.
Assumo come connotato della destra la pratica di politiche economico-sociali che si inseriscono in quella “lotta di classe condotta dall’alto” cui Luciano Gallino dedica il suo libro “La lotta di classe dopo la lotta di classe” (Laterza, 2012). Insomma, la pratica di quelle politiche liberiste che, da sempre, nel modo di produzione capitalistico, hanno incarnato gli interessi materiali della classe dominante.
Vediamo alcuni fatti:
Oltre che i governi di Berlusconi, tali politiche hanno caratterizzato i seguenti governi: Amato (1992), Ciampi (1993), Dini (1995), Prodi-D’Alema-Amato (1996-2001), Prodi 2 (2006-2008).
Tutti a guida politica PD (già DS, già PDS).
Infine, l’apoteosi del governo Monti (2011-2012), le cui mefitiche politiche furono votate da entrambi i “contendenti”, ma sicuramente con maggior enfasi e trasporto da parte del PD. Si trattava del governo più di destra dell’intera storia repubblicana, almeno dal punto di vista economico-sociale.
In questo modo, si è chiuso il ventennio neoliberista, governato per circa 10 anni ciascuno da PD e PDL separatamente e per 14 mesi congiuntamente.
Certo, l’eccessiva modestia ha indotto il PD e i suoi fiancheggiatori mediatici a parlare di ventennio berlusconiano, cercando di allontanare da sé le luci della ribalta del fallimento di quelle politiche.
Si tratta di una modestia immotivata.
Ne fanno fede i risultati, tragici per la qualità della vita delle classi subalterne, di cui i loro governi portano la diretta responsabilità:
- il disastro salariale, a seguito, in primo luogo, dell’abolizione della scala mobile [Amato,1992] e della cd. politica “dei” redditi [Ciampi, 1993], e successivamente, dalla scelta confederale di una sistematica contrattualità al ribasso. I risultati sono certificati, purtroppo, dalle classifiche OCSE che ogni anno segnalano una discesa dei salari italiani rispetto a quelli degli altri paesi;
- il deflagrare della precarietà del lavoro, inaugurata direttamente col “pacchetto” Treu [1997] e, successivamente perfezionata con l’assunzione della famigerata Legge 30, di berlusconiana memoria [2003], nel cd. Protocollo sul welfare [2007];
- la devastazione del sistema previdenziale pubblico, al fine di creare spazio alle pensioni private [1992, 1995, 2007] e il tentato scippo del TFR. Per fortuna le furie ideologiche dei vari Bersani ed Epifani non hanno avuto esito, altrimenti la crisi finanziaria mondiale avrebbe spazzato via le pensioni che essi avevano progettato per “salvaguardare il futuro delle giovani generazioni”;
- l’enorme aumento dell’orario di lavoro a parità di salario e pensione futura, attraverso l’allungamento dell’età pensionabile, perseguito nel tempo, in alternanza con Maroni, e realizzato dalla comune compagna di lotta, Fornero, che, con la collaborazione bipartisan che ha portato l’Italia ad ottenere il record dell’età pensionabile più elevata: 67 anni. Ma, dato il dilagare di precarietà e disoccupazione, si prospetta un’età pensionabile reale di almeno 70 anni, pur con pensioni da fame;
- le massicce e, spesso, insensate, privatizzazioni a tutto campo. Svendite a compari capitalisti che hanno privato lo stato della possibilità stessa di condurre una qualche politica industriale;
- le esternalizzazioni dei servizi che non hanno prodotto che peggioramento dei servizi, riduzione del personale, peggioramenti salariali ed aumento delle tariffe;
- l’aumento della pressione fiscale su lavoratori dipendenti e pensionati con l’aumento dell’aliquota minima dell’IRPEF [Visco:1998 e Prodi: 2007 (facendo proprio l’aumento deciso da Berlusconi nel 2002)] e la cancellazione della restituzione del fiscal-drag [Amato, 1992], al fine di poter diminuire, o mantenere bassissime, le imposte su profitti e rendite finanziarie;
- il tutto (e molto altro!) nel quadro di un’adesione assoluta all’impianto monetarista (corrente fondamentalista del neoliberismo) dell’UE, codificato nel Trattato di Maastricht [1992…guarda caso!]. In quel trattato, e nei suoi successivi peggioramenti, sempre appoggiati con ossequio dal PD, stanno le radici dell’attuale crisi europea.
Mi fermo qui, senza diffondermi sulle politiche di guerra e le spese militari per l’aggressione militare. Solo poche righe per spiegare perché ho parlato di destra “quasi” normale.
Se, per normale si intende liberale, bisogna riconoscere che, mentre abbiamo avuto abbondanza di liberismo economico, c’è stata assoluta mancanza di liberalismo politico, quanto meno riguardo alla laicità dello stato.
Abbiamo avuto invece continui privilegi garantiti alla Chiesa cattolica (a partire dall’art. 7 della Costituzione, spinto in prima persona da Togliatti e poi diventato l’unico articolo della Costituzione attuato, oltre all’art. 12). Regalie fiscali da sempre, finanziamenti pubblici alle scuole cattoliche (ops… private!) inaugurati da Prodi nel 1997, parificazione delle scuole private a quelle pubbliche, con controlli rimasti solo sulla carta 2000, nulla sulle coppie di fatto, ecc..
Ecco: una destra normale non avrebbe permesso tutto ciò!
Ma una destra quasi normale, evidentemente, sì!
Sergio Casanova, 08/03/2013