Proletariato e democrazia

Anche in Italia, il tabù democratico vacilla. Spunti per una riflessioni politica

Le lotte dei facchini non finiscono di stupire. Molto è stato detto in merito alle origini e allo sviluppo di queste lotte che da cinque anni agitano la scena sociale italiana, e a questo proposito rimando al bell’articolo di Nando Mainardi: Si-Cobas, a fianco dei lavoratori sotto le cariche della polizia [«Il Fatto Quotidiano», 21 marzo 2013: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/21/si-cobas-a-fianco-dei-lavoratori-sotto-cariche-della-polizia/538145/]. Una voce fuori dal coro.

Quella che mancava era una riflessione politica che ora è arrivata. Era inevitabile. Le immagini della violenza poliziesca contro i lavoratori sono sotto i nostri occhi. Violenze accompagnate da denunce, processi, sanzioni, come il Foglio di via che ha colpito Aldo Milani. La sostanza di questi fatti è ben riassunta nel comunicato del Si Cobas in cui si dice:

«La lezione che dobbiamo trarre da queste vicende è che: COSTITUZIONE, DEMOCRAZIA, DIRITTI sono parole vuote di fronte a questi livelli di repressione preventiva. Democrazia e diritti possono essere praticati nel concreto solo imponendolo con la lotta diretta come avviene nella logistica.

Noi siamo la classe che può mettere in discussione tutto lo stato di cose presenti e che emancipando noi stessi emancipiamo tutto il mondo.

Questa è la nostra missione storica, in questa prospettiva dobbiamo organizzare le lotte contro la democrazia e il suo potere che sa solo utilizzare la repressione contro chi lavora perché ha paura».

Senza scomodare le «missioni storiche», guardiamo cose più terra terra. Ovvero vediamo le balle democratiche con cui ci han riempito la testa, come se operai e padroni fossero compagni di regata sulla stessa barca. Finché la barca galleggia, l’inganno funziona, anche se a remare sono gli operai, e i padroni comandano, e basta. Ma appena si alza il vento e la barca fa acqua, i padroni per salvarsi cominciano a buttare a mare la zavorra … gli operai. Questa è la realtà che la crisi del modo di produzione capitalistico sta rendendo evidente.

La democrazia è solo il belletto, ovvero è l’ideologia che adorna e giustifica lo sfruttamento degli operai, su cui si fonda il modo di produzione capitalistico.

Viste le premesse, confermate dai fatti, ci vuole una gran faccia di tolla per contrapporre una presunta democrazia proletaria alla democrazia borghese … sarebbe aggiungere l’inganno all’inganno. Sarebbe come dire che il boia debba disinfettar la mannaia … Per inciso, in un recente passato, il socialismo reale di marca staliniana (sorvolando sui gulag) si prodigò a incensar la democrazia «socialista», mentre da parte sua il fascismo si presentò come la vera «democrazia proletaria» (sorvolando sul genocidio di abissini, slavi, ecc. ecc., e non solo di ebrei), contrapposta alla ingannatrice «democrazia plutocratica», che certamente anch’essa le mani nette non le ha mai avute.

Di fronte a quegli orrori, inevitabilmente, si fece avanti il «buon senso», dicendoci che la democrazia offre le migliori condizioni per il movimento operaio. Ma è proprio vero? O è solo un’apparenza? Procediamo con ordine, guardando oltre al cortiletto di casa nostra.

La democrazia: mito fondativo della società borghese

Come ogni altra precedente società, anche la società borghese ha bisogno di «miti fondativi», che nascondano le sanguinarie vergogne del «peccato originale», da cui è nato il modo di produzione capitalistico: l’espropriazione e la sottomissione violenta e il genocidio di esseri umani liberi («lavoratori» o meno), prima in Europa e poi nel resto del mondo, imponendo loro il lavoro forzato e lo schiavismo.

Il capitalismo il suo «mito fondativo» l’ha cercato nella democrazia greca. Balla! Falso storico sfacciato, che non regge alla più elementare critica<!–[if !supportFootnotes]–>[1]<!–[endif]–>. Quella che viene definita democrazia ateniese fu in realtà una particolare e transitoria forma di governo, che si dette una comunità entrata in fase di disgregazione a causa delle emergenti differenze sociali, e al tempo stesso minoritaria e privilegiata nel contesto della polis, dove circa il 90% degli abitanti era costituito da schiavi e stranieri (metechi)<!–[if !supportFootnotes]–>[2]<!–[endif]–>. La democrazia cui la società borghese si richiama è quella di un gruppo di ricchi schiavisti della Virginia che, nel 1776, definì i fondamenti etico-politici di quella che sarebbe stata la Costituzione degli Stati Uniti d’America del 1787 e che, sull’onda della Rivoluzione francese, furono poi ricopiati nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789<!–[if !supportFootnotes]–>[3]<!–[endif]–>. Su cui si fonda la democrazia moderna, rappresentativa.

Giusto per curiosità, riporto i punti essenziali della Costituzione della Virginia.

Prima sezione

Tutti gli uomini sono da natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati, di cui, entrando nello Stato di società, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità; cioè, il godimento della vita, della libertà, mediante l’acquisto e il possesso della proprietà, e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza.

Seconda sezione

Tutto il potere è nel popolo, e in conseguenza da lui è derivato; i magistrati sono i suoi fiduciari e servitori, e in ogni tempo responsabili verso di esso.

Quarta sezione

Nessun uomo, o gruppo di uomini, ha diritto a esclusivi o separati emolumenti o privilegi rispetto alla comunità, salvo che in considerazioni di servizi pubblici, i quali non essendo trasmissibili, non debbono essere ereditati neppure gli uffici di magistrato, di legislatore o di giudice.

Piccoli gruppi omogenei, e privilegiati

Belle parole! Se non che erano esclusi gli indigeni, destinati all’emarginazione fisica, e gli afro-americani, destinati alla schiavitù. Altrettanto sarebbe avvenuto, seppur con modalità diverse, in Francia e negli altri Paesi in cui la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino sarebbe stata «esportata». Come si vede, la democrazia rappresentativa riguarda gruppi ristretti e tendenzialmente omogenei di cittadini – ambiti sociali in cui vige il Contratto Sociale –, in seno ai quali non sussistono motivi di contrasto che non possano essere risolti per via di mediazioni, grazie alle quali gli interessi di alcuni appaiono come interessi generali. Per dar forza a questa pretesa, l’Assemblea Nazionale Costituente francese cancellò con un tratto di penna le possibili e reali fonti di contrasto: abolì le antiche corporazioni dei mestieri e proibì i nascenti sindacati operai e il diritto di sciopero (legge Le Chapelier, 14 giugno 1791), poiché in contrasto con i diritti del cittadino, che deve essere libero di sfruttare altri cittadini o di farsi sfruttare da altri cittadini. Sempre legalmente, è ovvio, poiché entrambi sono liberi. Almeno apparentemente.

Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico ha via via esteso le condizioni di omogeneità a strati sempre più larghi della popolazione, coinvolgendo i piccoli proprietari e i contadini, gli artigiani e, infine, i proletari, consentendo a questi ultimi di avere forme di rappresentanza proprie, i sindacati, ma non autonome, poiché anche i sindacati hanno dovuto sottomettersi all’interesse generale. Altrimenti sono «fuori legge».

Di pari passo, la politica si è via via ridotta alla pura amministrazione della cosa pubblica, la gestione dell’esistente, senza metterlo in discussione. Oggi, i risultati sono evidenti, con un Parlamento che potrebbe essere assimilato all’assemblea degli azionisti del Sistema Italia (Germania, Francia ecc. ecc.) SpA, in cui si confrontano le varie lobbies e cosche. Gli scontri in Parlamento vertono sulla gestione del bilancio statale, ossia su come ripartire il plusvalore estorto al proletariato (attraverso la cosiddetta politica dei redditi) tra le diverse frazioni borghesi. Cercando sempre di costruire il consenso. Anche grazie a uno Stato in cui convergono le azioni dello sbirro e dell’assistente sociale.

Ricordiamoci infine che la democrazia moderna si è imposta con la violenza rivoluzionaria (che è poco democratica) contro il vecchio ordine sociale nobiliare e clericale, tagliando molte teste coronate e blasonate. E oggi, per ironia della sorte, mentre l’ideologia borghese scaccia dalla porta l’idea di rivoluzione, la fa rientrare dalla finestra, parlando a ogni piè sospinto di rivoluzioni: dei gelsomini, dei garofani ecc, nonché di rivoluzioni di svariati colori, arancione. ecc.

Un paradiso per pochi eletti

Pur con tutti i limiti evidenziati, il paradiso democratico allieta comunque solo una piccola parte della popolazione mondiale – l’Occidente e qualche appendice –, dove nel corso di due secoli il modo di produzione capitalistico ha avuto lo sviluppo più alto e omogeneo, ed è in grado di smorzare i focolai di contrasto, gettandoli ai margini della nazione (non solo nelle galere) o dislocandoli decisamente all’esterno, in altri Paesi, dove la democrazia non vige. Fin dalle origini, la Francia la democrazia l’ha esportata a proprio uso e consumo, e con i Paesi colonizzati fu assai avara, in quanto questi non rispondevano (e non potevano rispondere) ai criteri di omogeneità (la Civiltà!) pretesi per essere baciati dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. E quando finalmente la democrazia arriva, molto spesso non è gradita … Iran 1953, Guatemala 1954, Palestina 2006 …

Numerose eccezioni ci sono state (e ci sono) anche in Occidente, ogni qual volta in un Paese vengono meno gli equilibri sociali che presiedono alla «pax democratica», come è avvenuto in Italia e in Germania con il fascismo, e in numerosi altri Paesi in cui le garanzie democratico-costituzionali sono state temporaneamente revocate e affidate a un ente, fisico o istituzionale, super partes. E questo sta avvenendo proprio oggi, nella Ce, in cui i Parlamenti nazionali, democraticamente eletti, hanno perso molte delle loro prerogative, a favore della Bce. Lo stesso sta avvenendo negli Usa, dove le garanzie costituzionali hanno subito un forte ridimensionamento dopo l’11 settembre 2011, con l’Usa Patriot Act.

Ritorno alle origini?

Sotto i colpi della crisi capitalistica, sembrerebbe che la democrazia si stia accartocciando, ritornando alle origini, quando era appannaggio di piccoli gruppi omogenei, e privilegiati. Un’inversione di tendenza mi pare assai improbabile, poiché la democrazia è del tutto incapace di difendersi. La democrazia è l’espressione politica di una minoranza privilegiata, la borghesia, che appena si vede in pericolo, rinuncia alle proprie prerogative politiche, abdica e apre le porte al fascismo, lo ha sempre fatto: in Italia nel 1922, in Germania nel 1933, in Spagna nel 1936, in Francia nel 1940 (e nel 1958), in Cile nel 1973 …

In una situazione in cui vengono meno i margini di mediazione sociale, le classi svelano il loro vero volto, i contrasti balzano in primo piano … e anche il proletariato manifesta, ove più ove meno, la propria autonomia politica che, inevitabilmente, lo mette in contrasto con l’interesse generale, quello del capitale, e quindi con la democrazia.

E allora, dobbiamo tenerci pronti, perché dopo le mazzate, le denunce e la galera, padroni, politicanti e pennivendoli diranno che siamo fascisti … E noi gli urleremo: affanculo … i fascisti siete voi … Non ci sono altri argomenti.

Dino Erba, Milano, 27 marzo 2013.

 

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