Il collettivo Café Libertad eG (CLK) e l’amministrazione del lavoro

Salute, compagni. Mi chiamo Folkert Mohrhof, ho 56 anni e sono di Amburgo, sono contabile e commercialista. Lavoro nel collettivo autogestito CAFÉ LIBERTAD. Dal 1976 partecipo attivamente al movimento anarcosindacalista. Nel 1999, in cui ero disoccupato per la seconda volta, mi si presentò l’opportunità di cominciare ad importare caffè zapatista. MI misi al lavoro e con i risparmi che mi restavano ci riuscii. Alla vista del successo che avemmo un gruppo di compagni della FAU di Amburgo ed io facemmo i primi passi verso la costruzione di questo collettivo. Questa meta la raggiungemmo il 1° gennaio 2007.
Attualmente importiamo e distribuiamo commercialmente caffè verde di tre cooperative zapatiste di caffè del Messico, di una cooperativa di donne in Honduras e di una iniziativa di rifugiati radicatisi in Costa Rica. Noi non ci vediamo come un progetto d solidarietà paternalista che pratica l’auto-sfruttamento. A noi interessano i posti di lavoro, le condizioni di lavoro degne per i membri delle cooperative agricole dell’America Latina. Appoggiamo decisamente le strutture autonome delle popolazioni indigene in Chiapas e da qualsiasi altra parte. Pertanto lo facciamo anche ad Amburgo.
Nostri sforzi e lavori…
• RedProZap è composto da collettivi ed associazioni dalle più disparate caratteristiche dell’area del movimento di solidarietà zapatista. Tali gruppi sono presenti in Norvegia, Svezia, Germania, Svizzera, Francia, Spagna Italia e Grecia. Questi gruppi sono nati per iniziativa di CAFE’ LIBERTAD dal 1999. Prima di questo CLK comprava per tutti i gruppi d’Europa e distribuiva inoltre ai gruppi europei a Barcellona, Parigi, Atene e Tolosa. Oggi questi gruppi comprano per proprio conto il caffè dalle cooperative zapatiste. CAFE LIBERTAD DISTRIBUISCE INOLTRE PER UNA COOPERATIVA DI LAVORATORI DI Bristol, che copre la zona di Londra e dell’Inghilterra occidentale. CAFE LIBERTAD distribuisce anche in Olanda, Belgio, Danimarca e Austria. Abbiamo inoltre clienti nell’Europa dell’Est e un punto di distribuzione a Tokyo che compra caffè e anche vino della CNT.
• Oltre al caffè, importiamo olio di oliva di Creta, vino rosso della CNT, magliette dal Nicaragua, caffè verde da Chiapas/Messico, Honduras e Costa Rica. Vendiamo anche libri libertari e solidali di editori anarchici. Ciononostante il 95% delle nostre vendite è costituito dalle vendite di caffè.
• Collaboriamo con vari collettivi che sono sorti dalla FAU tedesca: della serigrafia delle nostre magliette si occupa una stamperia di Munster. Distribuiamo magliette al “sindacato dei vestiti” di Hannover, una distributrice di vestiti. I libri li riceviamo dal SYNDIKAT-A-MEDIENVERTRIEB DE MOERS.
• In Spagna collaboriamo con la ASSOCIACIÓ SOLIDARIA CAFÈ REBELDÍA di Barcelona (Infoespai).

Commercio solidale invece di commercio equo
Nella CLK non pratichiamo il “commercio equo”, perché nel capitalismo non c’è spazio per un prezzo equo, indipendentemente da qualsivoglia categoria merceologica. Perciò chiamiamo il nostro commercio “commercio solidale”, perché si radica nella solidarietà con il movimento zapatista e perché negoziamo il prezzo con i produttori di caffè in condizioni di parità. D’altro canto dobbiamo confrontarci frequentemente con il prezzo al quale viene commerciato il caffè a livello mondiale. Ciò ha anche a che vedere con il fatto che il caffè è il secondo prodotto del commercio internazionale dopo il petrolio. E dato che nel capitalismo non esistono nicchie alternative né meravigliosi spazi liberi accettiamo questa dipendenza come un fenomeno legato alla nostra attività. Lo vediamo anche quando i produttori zapatisti o le produttrici honduregne ci rimandano al prezzo a cui ci si attesta nel mercato globale. Giudichiamo tale comportamento come non solidale e controproducente nell’ambito di una cooperazione anticapitalista come la nostra. Il prezzo del caffè non sale solo grazie alla speculazione di migliaia di milioni di dollari orchestrata a New York…D’altro canto dobbiamo aggiungere che non avevamo avuto una situazione così da 12 anni a questa parte. La tensione continuerà perché il prezzo del caffè sui mercati internazionali scenderà a causa del super-raccolto previsto per la stagione 2011/2012. Anche il trend dei prezzi d’acquisto sarà al ribasso….

Nostri metodi di lavoro e di funzionamento
Il nostro modo di organizzazione è rimasto identico in questi 12 anni, anche se di tanto in tanto il numero dei soci e il numero dei compagni/e del collettivo è variato. A tutt’oggi nel collettivo lavorano 9 persone – ciascuno secondo le proprie esigenze tra i tre e i cinque giorni a settimana. La nostra giornata lavorativa è regolamentata ed è di più o meno 6 ore al giorno. Tutti ricevono € 17,50 all’ora e abbiamo diritto a 6 settimane di ferie e una settimana di formazione. Se a qualcuno sta male – quale che sia la causa – potrà prendersi un paio di giorni o addirittura una settimana di “riposo”.
Abbiamo diviso il nostro lavoro nelle seguenti cinque aree, rispettivamente coordinate da una persona:
• Contabilità finanziaria,
• Accettazione merci e packaging (preparazione degli ordini),
• Ricezione degli ordini e fatturazione
1. Rapporti con i collettivi fornitori
• Comunicazione (materiale informativo, realizzazione delle etichette, listino prezzi e negozio online).
Ciascuno deve svolgere diverse funzioni e non concentrarsi solo su una di queste, e ancor meno quando tale mansione è ripetitiva.(a tutt’oggi solo due compagni/e vogliono curare l’impacchettamento).
Ci sono solo due modalità di partecipazione per poter garantire una cooperativa organizzata in modo genuinamente democratico: solo chi lavora nel collettivo è membro di pieno diritto nella cooperativa. Per simpatizzanti e amici si pone l’opzione di partecipare con un proprio investimento nella cooperativa. Il prestito viene remunerato con un tasso annuo del 3,5%. Tuttavia i soci che investono non partecipano al processo decisionale.
Oltre al suo aspetto esteriore la cooperativa è composta da un collettivo interno che tratta le proprie questioni regolarmente in riunioni ogni tre settimane e in una riunione di lavoro settimanale tutti i mercoledì. La nostra assemblea generale è un atto di mera formalità per poter produrre i documenti legali che ci richiede lo stato. Data la nostra dimensione possiamo convocare in qualsiasi momento un’assemblea operativa e prendere decisioni.
Le brutte esperienze del passato ci hanno portato ad appellarci al principio del consenso solo quando le decisioni hanno a che fare con i tratti più essenziali del nostro collettivo. Nei restanti casi prendiamo le decisioni dopo un dibattito. Se non c’è altra strada, si prendono decisioni solo quando sono appoggiate da una maggioranza qualificata. Questa risoluzione si trova in un mandato del collettivo ed è vincolante per tutte le persone che lo compongono.

Finanziamento
L’enorme problema del finanziamento del progetto per acquistare caffè verde (nel commercio solidale si anticipa circa il 60% del totale al momento della stipula del contratto – e stiamo parlando di 350.000 euro) l’abbiamo risolto attraverso crediti privati da parte di conoscenti e di clienti e anche con crediti in conto corrente in una banca alternativa di impostazione ecologica e ambientalista.

Successo e rischi
Il nostro successo sul piano economico non riesco a spiegarmelo del tutto. Il nostro caffè del commercio solidale è da coltivazione biologica, e la maggior parte delle sue varietà dispone di certificazione ecologica della UE. Siccome i pacchetti di caffè da 500g si possono comprare direttamente solo da noi non applichiamo sconti ai distributori. Pertanto la maggior parte dei pacchetti li comprano privati e vari gruppi di persone. Molti negozi di articoli solidali provenienti dal terzo mondo con radici ecclesiastiche comprano il caffè da noi, cosa che a me dà particolarmente fastidio. Ma dal momento che anche gli zapatisti sono cattolici e religiosi dobbiamo morderci la lingua.
Grazie all’aver impostato la distribuzione in maniera diretta siamo arrivati ad importare fino a 8 container di caffè verde (sono più di cento tonnellate). Il nostro volume di vendite potrebbe essere maggiore se ci distribuissero più caffè zapatista. Non facciamo pubblicità commerciale per i nostri diversi tipi di caffè ed espressi a causa alla ridotta quantità che ci viene distribuita. La nostra offerta si diffonde per passaparola e alla fine molti dei clienti trovano il nostro sito cercando caffè del commercio solidale biologico e a buon mercato.

Volume d’affari – cifre
Bene, bene, bene. A chiusura dell’esercizio passato abbiamo avuto un volume d’affari netto di 1,25 milioni di euro. Gli utili netti sono stati di 23.000 €. Le cifre di quest’anno si attestano su un volume d’affari di più di 1,4 milioni di euro e si prospettano utili maggiori. E questo nonostante i prezzi di acquisto e di conseguenza quelli di vendita siano saliti moltissimo.
Tutti gli utili vengono posti in riserva. Degli utili non si ripartiscono nemmeno i centesimi, una pratica comune in altre cooperative.
Vorrei appuntare che nei nostri calcoli economici abbiamo una voce di bilancio di 45 centesimi per ogni chilo di caffè tostato venduto, da destinare a progetti sociali e politici in Chiapas. A seconda del volume di vendite la mettiamo a disposizione anche negli altri due paesi. Nel 2010 ci furono 42.000 euro. Dal 1999 abbiamo inviato più di 250.000 euro in Chiapas ed in America Latina.

Esperienze
La consegna anarchica: „Ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo le proprie necessità”, non funziona nel capitalismo. Sia che siamo radicali autonomi di sinistra, anarchici o anarcosindacalisti non siamo riusciti a scrollarci il capitalismo di dosso – e non c’è da meravigliarsi. Il capitalismo finisce per colare dai pori. Sia chiaro che non è una giustificazione. Pertanto, le persone che vogliano costituire una comunità dovrebbero tenere in considerazione ciò che segue: fondino la comunità con compagni e compagne che siano disposti a collaborare, persone alle quali l’esperienza dice che il collettivo non funzionerà senza coinvolgimento e senza lavoro.
E’ quasi sicuro che in futuro non sarà possibile creare dal nulla una fabbrica gestita dai lavoratori. Per quello ci manca il capitale necessario. Sarà meglio cominciare a piccoli passi. Fondiamo piuttosto panifici autogestiti per produrre pane a basso prezzo e nutriente, fondiamo bar e ristoranti che abbiano l’atmosfera che ci piace e che inoltre offrano i propri locali per convegni e riunioni.
La domanda è nota: Vogliamo auto-sfruttarci attraverso collettivi autogestiti dai lavoratori? Oppure continuiamo a stare sotto il giogo dello sfruttamento capitalista in condizioni indegne – pagate meglio o peggio – per l’arricchimento di altri? Chi fa un’impresa non diventa direttamente un imprenditore o un capitalista. Anche se potrò fallire nell’intento, preferisco lavorare in un collettivo che lavorare per un capitalista. La ragione per la quale abbiamo pochi collettivi affini alla nostra ideologia è che il capitalismo ha infuso in tanti la paura dell’insuccesso. Questa paura che strangola in modo tale che preferiamo che ci sfrutti un imprenditore. Ma cosa può esserci di peggio dall’essere licenziato da una impresa capitalista? Dovremmo scrollarci di dosso una volta per tutte questa “schiavitù volontaria” e prendere in mano le redini delle nostre vite. Per evitare il fallimento del collettivo dovrebbero essere riconosciuti e stabiliti dei criteri di protezione.
A tal fine bisogna cominciare con la formazione dell’autocoscienza e dell’autogestione a partire dai sindacati anarcosindacalisti e che tali aspetti passino ad essere parte definitiva della formazione all’interno dell’organizzazione. Il modello di una società libertaria non si ottiene solo organizzando il conflitto, contando giorni di sciopero, amministrando le liste dei tesserati o portando avanti la tesoreria.
Perciò il collettivo Café Libertad ha redatto un documento nel quale vi è una auto-definizione. Un documento sul quale continueremo a discutere in futuro. Tra gli altri aspetti, abbiamo tratto che: “ Sappiamo che il nostro compito è conservare l’eredità politica del comunismo libertario, dell’anarcosindacalismo e la autonomia dei lavoratori. Siamo coscienti che bisognerà cambiare la quotidianità se abbiamo la pretesa di cambiare la società e realizzare una analisi critica del nostro comportamento come donne, uomini, produttori/trici, consumatori/trici”. Inoltre sosteniamo che: »Inoltre il CLK è concepito come esperimento di una società libertaria, è una dimostrazione che la teoria anarcosindacalista può essere portata nella pratica. Per questo collettivo è cruciale che siamo noi altri/e a definire le condizioni alle quali lavoriamo come salariati – per lo meno all’interno della nostra impresa.

Prospettive – proposte
Secondo Tucholsky, il mondo capitalista è difficile da fermare quanto lo è fermare il mare con un fischio. Noi anarcosindacalisti abbiamo bisogno di esempi positivi di alternative economiche insieme alla presenza di sindacati forti.
Prima dell’avvento del fascismo RUDOLF ROCKER y MAX NETTLAU discutevano con i propri compagni e compagne della FAUD la possibilità di creare un ‘socialismo costruttivo’ che avrebbe adottato la forma di collettivi di lavoratori. La rivoluzione sociale in Spagna portò con sé una quantità incredibile di esempi di cooperative operaie e imprese collettivizzate. Voglio qui ricordare il compagno catalano JOAN PEIRÓ I BELIS, che propugnò e coordinò la COOPERATIVA OBRERA CRISTALERÍAS MATARÓ giungendo ad impostare le basi per i compiti delle cooperative operaie e i collettivi operai. In tal modo si voleva evitare di cadere nell’imborghesimento e nel paradosso di diventare i lavoratori stessi dei capitalisti. PEIRÒ disse in modo palesemente chiaro, riguardo ai lavoratori che vivevano grazie ad una cooperativa, che “è talmente vaga la conoscenza del fine che essi perseguono come cooperativisti, che la propria ossessione per l’economia e per le statistiche domestiche fa il paio con il proprio conformismo politico sociale.
Perciò negli statuti della cooperativa revisionati da Peirò si stabiliva che il 20% degli utili sarebbero stati destinati a fini sociali e alla propaganda rivoluzionaria. Pertanto era obbligatorio per le cooperative operaie socializzare parte degli utili ottenuti.
Riesco a vedere con precisione noi della CLK che dedichiamo lo 0,5% del nostro volume di vendite (più di 7000 euro) alla ricerca e alla consulenza, in stile ICEA. Inoltre potremmo dedicare il 3-5% annuo della somma dei salari lordi (da 7.500 a 12.500 euro) ad una cassa di resistenza di collettivi operai e cooperative o per una rete di cooperative operaie senza che la nostra praticabilità economica ne venga a risentire. In più finiremmo per risparmiarci di versare una certa quantità di tasse allo Stato. Da parte di CAFÉ LIBERTAD cercheremo di mantenere quest’obbligo attraverso un maggiore lavoro educativo.

Controllo sindacale
Il legame delle cooperative rivoluzionarie al movimento anarcosindacalista è cruciale. Solo in questo modo è possibile la trasmissione e lo scambio di esperienze. Le cooperative hanno l’obbligo sociale della formazione e del contributo economico per il sostegno dell’organizzazione sindacale. Su questo sfondo acquista importanza il fatto che i membri dei collettivi siano organizzati – dovrebbe essere obbligatorio – nei rispettivi sindacati.
D’altra parte i sindacati locali potrebbero appoggiare i collettivi comprando partecipazioni dei collettivi o prestando denaro. A seconda dei casi, ricorrendo a questa strategia si potrebbero salvare parte delle riserve dalle grinfie dello stato.

Dalla teoria alla pratica …
L’anarchico e scrittore agitatore ERICH MÜHSAM, torturato a morte nel campo di concentramento di Oranienburg, membro della FAUD, esigeva che “gli anarchici devono affrontare il compito di riflettere su tutti gli aspetti dell’organizzazione economica della società futura per poter portare la transizione”. Allo stesso tempo avvertiva di non cadere “nell’infantilismo di credere che la rivoluzione abbia già preparato la strada della transizione verso il socialismo con la sola occupazione delle fabbriche da parte degli operai e che essi continueranno la produzione in autogestione”, questa impostazione “è tanto insensata quanto pericolosa”.
MAX NETTLAU vede il “socialismo costruttivo“ come il rimedio al capitalismo: “Nel socialismo costruttivo (…), si dimostrerà la dignità e la capacità del lavoro libero, e la massa operaia potrà imparare a poco a poco a preferire queste relazioni autoregolate alla schiavitù delle relazioni lavorative con lo Stato.” In modo inequivocabile nomina le ragioni grazie alle quali una comunità operaia può funzionare: ”Se al posto di (…) bassi salari per i lavoratori, alte retribuzioni per i quadri dirigenti e il furto degli utili da parte dell’impresa si potessero instaurare salari alti, salari leggermente più alti per la coordinazione tecnica e inoltre gli utili di destinassero a questo o alla crescita dell’impresa, alla fine si creerebbero organismi con capacità di vivere e creare reddito. Le condizioni di lavoro di questi organismi darebbero l’impulso alla moltiplicazione di questa classe di imprese.”

Per chiudere
Chi voglia fondare un collettivo dovrebbe avere ben chiaro se si vuole che anche dall’esterno si venga visti come un collettivo politico, o se solo all’interno. Si può essere uno studio di architetti autogestiti, un panificio biologico indipendente, un’officina libertaria di riparazione di biciclette, un asilo infantile alternativo, una cooperativa di medici o forse un collettivo di avvocati o fisioterapisti. Può essere che già ci sia stata tutta questa classe di progetti, insieme a progetti di editoriali e giornali anarchici. La mia opinione personale è che è molto più importante fondare cooperative per la cura di pensionati ed anziani. Dal punto di vista biologico sono necessarie, perché anche noi invecchieremo e saremo più fragili. Perché desideriamo avere allora l’autodeterminazione e cure libertarie indipendenti, che non sono possibili con le cure e l’assistenza medica statali.
Se non riusciamo a creare una rete e propagare questa alternativa al capitalismo, se non siamo capaci di organizzarci in solidarietà unendo diverse generazioni, il movimento libertario sarà di poco conto.
Perciò per me è urgente che tanto i sindacati anarcosindacalisti come la CNT di dotino di modelli di attuazione e accordi nei quali si rifletta il concetto che hanno oggi riguardo al lavoro dei collettivi di lavoratori. Come si possono relazionare, con quale tipi di assistenza si doteranno, quali sono i diritti e gli obblighi più ragionevoli, come creare una cassa di resistenza, come formarsi reciprocamente sotto la tutela diretta o in collaborazione con le federazioni locali. Naturalmente si può tacciare tutto questo di “possibilismo”. Ma a me pare che, benché i sindacati portino lo stendardo del comunismo libertario – per adesso irraggiungibile – non aumenterà la nostra capacità di attrazione in un’epoca che avrà tutti gli aggettivi meno quello di rivoluzionaria. Tutto questo nonostante, o forse a causa, della domanda globale di più democrazia capitalista.
La mia idea è in fin dei conti quella di una CONFEDERAZIONE EUROPEA DEL LAVORO come organizzazione-ombrello di federazioni industriali anarcosindacaliste basate in sindacati unici e cooperative di collettivi operai.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e vi auguro un buon successo per la conferenza della CNT di domani.
(Comunicazione per la Conferenza della CNT a Madrid (2011))

Folkert Mohrhof

Amburgo, 20 ottobre 2011

2 comments for “Il collettivo Café Libertad eG (CLK) e l’amministrazione del lavoro

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