NON PAGARE IL DEBITO – DOSSIER ISLANDA

 Molti sanno che gli islandesi hanno deciso in un referendum di “non pagare il debito”, ma solo pochi ne sanno di più. Ho perciò deciso di confezionare questo “dossier”, che comprende un’aggiornata documentazione e un articolo analitico e divulgativo, a beneficio di chi vuol capire meglio la realtà sociopolitica islandese. È destinato al sito di “rivolta il debito”  http://www.rivoltaildebito.org/ ma tutti sono liberi di farlo circolare come meglio credono (chi volesse pubblicarlo in qualche altro sito per favore citi la fonte: grazie)
Per contatti: morra@nous.unige.it

DOSSIER ISLANDA

a cura di Sergio Morra

INDICE
Cronologia
Documentazione
Video
Stralci della bozza di nuova costituzione 
Islanda una rivoluzione in camminio
Perché è cambiata l’Islanda?   
Come sta cambiando l’Islanda?   
L’Islanda è cambiata di colpo?   
È una rivoluzione? È una rivoluzione socialista?   
L’Islanda appartiene all’Europa?   
Il futuro dell’economia  
Possiamo imparare qualcosa dall’Islanda?   
Epilogo
Postilla
Note

CRONOLOGIA
20 aprile 1991 – Il Partito dell’Indipendenza (conservatore), guidato da Davíð Oddson, vince le elezioni politiche col 38,6%. Si avvia in Islanda una politica fortemente liberista. Davíð Oddson
resterà primo ministro fino al 2004 in governi di coalizione prima col Partito Socialdemocratico e poi col Partito Progressista (di centro), quindi sarà Ministro degli Esteri per un paio d’anni e infine Governatore della Banca d’Islanda. 2002-2003 – Il sistema bancario islandese viene totalmente privatizzato e liberalizzato. A capo delle banche vengono messi uomini di fiducia del Partito dell’Indipendenza e del suo alleato Partito Progressista. 2003-2008 – Le banche islandesi mietono successi straordinari, garantiscono interessi e rendimenti elevati agli investitori islandesi e stranieri. Gli islandesi ottengono facilmente prestiti e mutui. 6 ottobre 2008 – Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde rivolge in diretta tv un discorso alla nazione in cui annuncia il crack delle banche e conclude retoricamente “Dio benedica l’Islanda”. I risparmiatori islandesi sono rovinati, chi ha fatto mutui deve restituire case e auto comprate a credito. Subito si scatenano forti manifestazioni di protesta, che durano parecchi mesi  determinano fortemente gli eventi successivi.  9 ottobre 2008 – Il governo nazionalizza le principali banche e sospende per 4 giorni le transazioni di borsa. 20-25 gennaio 2009 – Le manifestazioni nonostante il maltempo si intensificano, resistendo alle cariche e ai lacrimogeni della polizia. Geir Haarde si dimette il 22 per “ragioni di salute”; nei giorni successivi si dimettono il ministro delle finanze e alti dirigenti statali.  25 aprile 2009 – Elezioni politiche anticipate: il Partito dell’Indipendenza crolla, viene eletto un governo di coalizione tra Unione socialdemocratica (29,8%) e Sinistra Verde (21,7%). Jóhanna Sigurðardóttir, socialdemocratica, diventa Primo Ministro. 16 luglio 2009 – Il Parlamento vota per l’avvio dei negoziati per l’ingresso dell’Islanda nell’Unione Europea. Jóhanna Sigurðardóttir e i socialdemocratici sono fortemente favorevoli all’adesione.  30 dicembre 2009 – La maggioranza di centrosinistra approva una legge per il pagamento del debito agli investitori inglesi e olandesi; ogni cittadino islandese, compresi i bambini, dovrebbe pagare in media 100 euro al mese per 15 anni. Anche la federazione degli industriali e i sindacati si pronunciano a favore della legge.  2 gennaio 2010 – Viene consegnata al Presidente della Repubblica Ólafur Ragnar Grímsson una petizione con 56089 firme (quasi un quarto dell’elettorato) perché non firmi la legge.  5 gennaio 2010 – Il Presidente della Repubblica annuncia che non firmerà la legge, su cui convoca un referendum come previsto dalla Costituzione islandese in caso di mancata firma del Presidente. 6 marzo 2010 – Nel referendum il 93% degli elettori vota NO al pagamento del debito estero (con meno del 2% di sì, il restante circa 5% bianche o nulle).  12 aprile 2010 – La Commissione d’Indagine nominata dal Parlamento consegna una relazione di 2000 pagine sul crack delle banche. Emergono responsabilità pesantissime di politici e manager. Per dare la massima pubblicità a questo testo, gli attori del Teatro Comunale di Reykjavík dedicano 5 giorni a leggere pubblicamente tutta la relazione, trasmettendola anche in diretta.  29 maggio 2010 – La lista guidata dall’attore comico Jón Gnarr vince le elezioni comunali di Reykjavík col 34,7%. Jón Gnarr diventa sindaco della capitale.  16 giugno 2010 – Il Parlamento indice l’elezione di un’assemblea costituzionale di 25 membri. La candidatura è individuale e non per liste, non vi è suddivisione in  circoscrizioni, e l’elettore può votare fino a 25 candidati in ordine di preferenza.  27 luglio 2010 – Iniziano ufficialmente i negoziati per l’adesione dell’Islanda all’Unione Europea.
27 novembre 2010 – Elezione dell’assemblea costituzionale; vi sono ben 522 candidati.
15 dicembre 2010 – La commissione di vigilanza dell’EFTA respinge il ricorso delle banche
straniere contro la legge islandese che dà la precedenza ai depositi dei correntisti nel rimborso dei debiti delle banche islandesi.  25 gennaio 2011 – La Corte Suprema (nominata dal precedente governo conservatore) annulla il voto per l’assemblea costituzionale. Successivamente però il Parlamento riconosce di fatto i risultati del voto, incaricando i 25 eletti di formare un Consiglio Costituzionale che sottoponga una bozza di nuova Costituzione all’approvazione del Parlamento.  20 febbraio 2011 – La maggioranza di centrosinistra in Parlamento vota una nuova legge che istituisce un fondo di garanzia per il pagamento del debito agli investitori stranieri, giustificandolo con la necessità di fornire garanzie per essere ammessi nell’Unione Europea; il Presidente della Repubblica rifiuta nuovamente di firmarla e convoca un secondo referendum.  9 aprile 2011 – Nel referendum il 60% degli elettori vota NO anche a questa versione modificata della legge.  13 aprile 2011 – Il Consiglio Costituzionale inizia i lavori: le sedute sono pubbliche e trasmesse in streaming e tutti i cittadini possono intervenire in rete con commenti e proposte.  29 luglio 2011 – Il Consiglio Costituzionale approva all’unanimità la bozza definitiva della nuova Costituzione. 5 settembre 2011 – Il Parlamento approva l’incriminazione dell’ex primo ministro Geir Haarde per omessa vigilanza sulle banche.
6 settembre 2011 – Il ministro dell’agricoltura e della pesca Jón Bjarnason non presenta il piano sull’adeguamento dell’agricoltura islandese alle richieste dell’Unione Europea, causando così un rinvio a tempo indeterminato dei negoziati.  1-4 ottobre 2011 – Polemiche tra il Governo (che rassicura gli investitori inglesi e olandesi sul pagamento dei debiti) e il Presidente della Repubblica (che continua a dichiararsi contrario). Dorrit ssaieff, moglie del Presidente, scavalca le transenne e si unisce ai manifestanti. Mutui per le case, redistribuzione delle quote di pesca, costi del sistema politico sono fra i temi della protesta.  28 ottobre 2011 – La Corte Suprema delibera che, sebbene a seguito del referendum lo Stato non deva provvedere al pagamento, Landsbanki resta comunque responsabile dei debiti e pertanto è tenuta a risarcire i creditori stranieri.  29 novembre 2011 – Il parlamento vota per il riconoscimento della Palestina “come Stato indipendente e sovrano entro i confini precedenti alla guerra dei sei giorni del 1967” riaffermando inoltre che l’OLP è il rappresentante legittimo del popolo palestinese e che i rifugiati palestinesi hanno il diritto di tornare alle loro case.  8-14 dicembre 2011 – Landsbanki paga a Gran Bretagna e Olanda la prima tranche (circa 3 miliardi di euro) del debito di Icesave. Ciononostante, la commissione di vigilanza dell’EFTA avvia alla Corte dell’EFTA un processo contro l’Islanda, con l’accusa di avere violato regole europee che avrebbero imposto allo Stato islandese di risarcire la Gran Bretagna e l’Olanda entro un anno dal fallimento di Icesave. Governo e opposizione sono unanimi nel respingere l’attacco. 

DOCUMENTAZIONE VIDEO : LISTA FILMATI SU YOUTUBE
(la prima fase del movimento, quando è venuto alla luce il crack delle banche)
http://www.youtube.com/watch?v=RB13PYRcVvE del 18/10/08
http://www.youtube.com/watch?v=QUggaKTWlb0 del 25/10/08
http://www.youtube.com/watch?v=XyS-bOuCjec del 8/11/08
(l’inasprimento delle proteste, che ha portato alle dimissioni del governo conservatore)
http://www.youtube.com/watch?v=vlFMl8klD-Y&feature=related del 20/01/09
http://http://www.youtube.com/watch?v=GlQg9qf3VVw&NR=1 del 21/01/09
http://www.youtube.com/watch?v=iHTdOXWxxE8&NR=1 del 24/01/09
http://www.youtube.com/watch?v=hH_xmjKcaZY&feature=related del 25/01/09
(il momento “glorioso” del primo referendum contro il pagamento del debito)
http://www.youtube.com/watch?v=Om3uaYgrX38&feature=related 06/03/10
http://www.youtube.com/watch?v=2McdmBwwMls&feature=related 06/03/10
(il movimento continua)
http://iceland-dori.blogspot.com/2011/10/protest-today-in-iceland-and-members-of.html
http://iceland-dori.blogspot.com/2011/10/protest-in-iceland-october-3-2011-lots.html
03/10/11

LA BOZZA DI COSTITUZIONE

Preambolo – “Noi abitanti dell’Islanda vogliamo creare una società giusta in cui tutti hanno gli stessi diritti. Le nostre diverse origini arricchiscono la collettività e tutti insieme siamo responsabili elle generazioni future, del paese e della sua storia, natura, lingua e cultura. L’Islanda è uno stato libero e sovrano fondato su libertà, uguaglianza, democrazia e diritti umani. …”  Art.6 – “Tutti sono uguali davanti alla legge e godono dei diritti umani senza distinzioni di genere, età, patrimonio genetico, residenza, condizione economica, disabilità, orientamento sessuale, razza, colore, opinione, appartenenza politica, religione, lingua, provenienza, ascendenza familiare o altre condizioni. …”  Art.8 – “È assicurato a tutti il diritto a vivere con dignità. Le diversità della vita umana saranno rispettate in ogni aspetto.” Art.9 – “Le autorità devono sempre tutelare i cittadini dalla violazione dei diritti umani da parte di chi detenga un potere statale o di chiunque altro.” Art.12 – “La legge assicurerà a tutti i bambini la protezione e le cure che il loro benessere richiede. … Ai bambini sarà garantito il diritto di esprimere la loro opinione sulle questioni che li riguardano e si terrà la loro opinione nella debita considerazione, conformemente alla loro età e maturità.” Art.13 – “Il diritto alla proprietà è inviolabile. Non si può costringere nessuno a cedere la sua proprietà se ciò non è richiesto dall’interesse pubblico. Ciò deve avvenire per disposizione di legge e con un pieno indennizzo. Al diritto di proprietà si accompagnano doveri e limiti stabiliti dalla legge.”
Art.14 – “Tutti hanno diritto alle proprie opinioni e convinzioni e ad esprimere il proprio pensiero. La censura o altri simili ostacoli alla libertà di espressione non potranno mai essere consentiti dalla legge. … È vietato limitare l’accesso alla rete o alle tecnologie informatiche se non per decisione di un giudice …” Art.15 – “Tutti sono liberi di raccogliere e diffondere informazioni. La pubblica amministrazione sarà trasparente e terrà a disposizione la documentazione …” Art.21 – “È garantito a tutti il diritto di riunirsi senza particolari permessi, ad es. per assemblee o proteste. Questo diritto non può essere limitato se non per legge e rispettando le necessità di una società democratica.” Art.22 – “È garantito a tutti il diritto a mezzi di sostentamento e alla sicurezza sociale. La legge garantisce la previdenza e l’assistenza sociale a tutti coloro che ne hanno necessità in caso di disoccupazione, maternità, vecchiaia, povertà, disabilità, malattia, invalidità o simili circostanze.”  Art.23 – “Tutti hanno diritto di godere della salute mentale e fisica nel più alto grado possibile. La legge garantisce a tutti il diritto a un servizio sanitario accessibile, appropriato e soddisfacente.”  Art.24 – “La legge garantisce a ciascuno il diritto all’istruzione pubblica e agli insegnamenti per cui è adatto. Tutti coloro che frequentano la scuola dell’obbligo riceveranno l’istruzione gratuitamente. L’educazione deve mirare allo sviluppo completo di ciascun individuo, al pensiero critico e alla consapevolezza dei diritti umani e dei diritti e doveri democratici.”  Art.25 – “Tutti sono liberi di svolgere il lavoro da loro scelto. Tale libertà può essere limitata dalla legge se ciò è richiesto dall’interesse pubblico. La legge prescrive i diritti relativi a condizioni di lavoro dignitose, riguardo il riposo, le ferie e il tempo libero. È garantito a tutti il diritto a un’equa retribuzione e ad accordi sulle condizioni e i diritti connessi al lavoro.”  Art.29 – “La legge non può mai ammettere la pena di morte. Nessuno può essere sottoposto a tortura o ad altre punizioni o trattamenti inumani o umilianti …”  Art.31 – “La legge non può introdurre un servizio militare obbligatorio.”  Art.32 – “I tesori nazionali che appartengono all’eredità culturale islandese, quali i reperti storici nazionali e gli antichi manoscritti, non possono essere distrutti né assegnati in proprietà o uso permanente, ipotecati o venduti.”  Art.33 – “La natura islandese è la base della vita nel paese. Rispettarla e proteggerla è dovere di tutti. La legge garantisce a tutti il diritto a un ambiente sano, acqua fresca, aria non inquinata e natura non contaminata … I danni passati saranno per quanto possibile riparati. L’uso delle risorse naturali avverrà in modo da ridurle il meno possibile nel lungo periodo, nel rispetto dei diritti della natura e delle future generazioni …”  Art.34 – “Le risorse naturali islandesi che non sono proprietà privata sono proprietà perpetua e condivisa del popolo. Nessuno può ottenere la proprietà o l’uso perpetuo di risorse naturali o diritti su di esse, né possono essere vendute o ipotecate. Le risorse naturali di proprietà pubblica includono le risorse ittiche e altre risorse del mare e del fondo marino entro le acque territoriali, le sorgenti d’acqua e i diritti d’uso delle acque, l’energia geotermica e i giacimenti minerari … L’utilizzo di risorse naturali avrà lo sviluppo sostenibile e l’interesse comune come punti di riferimento …”  Art.35 – “… La legge garantisce l’accesso del pubblico alle discussioni preparatorie di decisioni che abbiano un impatto sull’ambiente e la natura …”
Art.39 – “… I seggi in Parlamento saranno ripartiti fra le liste di candidati in modo tale che ciascuna di esse ottenga un numero di deputati completamente proporzionale al numero totale dei voti …”  Art.90 – “Il Parlamento elegge il primo ministro … Se entro dieci settimane il primo ministro non fosse eletto, si scioglie il Parlamento e si indicono nuove elezioni … I ministri non dovranno essere più di 10 …”   Art.95 – “I ministri sono responsabili di fronte alla legge per tutte le azioni attuate dal governo. Qualora un ministro verbalizzi il suo parere contrario a una decisione governativa, non ne sarà ritenuto responsabile …”  Art.105 – “… Gli organi di governo locale devono avere poteri ed entrate sufficienti per adempiere ai compiti cui sono tenuti per legge …”  Art.111 – “È consentita l’adesione a trattati internazionali che prevedano il trasferimento di poteri statali a istituzioni internazionali … Il trasferimento dei poteri statali dovrà sempre essere revocabile … Qualora il Parlamento ratifichi un accordo internazionale che preveda il trasferimento di poteri statali, la decisione sarà sottoposta a referendum per l’approvazione o il rifiuto …”

ISLANDA, UNA RIVOLUZIONE IN CAMMINO
Sergio Morra
L’Islanda sta cambiando. Ha avuto 18 anni consecutivi di governo conservatore neoliberista, che non era piovuto dal cielo ma eletto democraticamente dai cittadini islandesi. Un popolo istruito, un popolo fiero, ma un popolo che dal 1991 al 2008 è stato in maggioranza contento dei suoi governi conservatori. Davíð Oddsson aveva un’immagine di liberista illuminato, onesto, efficiente. Poi il giocattolo si è rotto e, per fortuna, il popolo islandese ha saputo prendersi la responsabilità di cambiare ed ergersi a protagonista del cambiamento. Per la verità, l’Islanda era molto cambiata anche nel mezzo secolo precedente. Fino alla II guerra mondiale era una colonia danese con parziale autogoverno, popolazione in prevalenza rurale, stile di vita tradizionale, alto livello culturale (l’analfabetismo era già scomparso nel XIX secolo) ma povertà diffusa. L’indipendenza e la proclamazione della repubblica nel 1944, l’introduzione di metodi industriali nella pesca e nella conservazione ed esportazione del pesce (che è diventato la vera ricchezza nazionale), l’ampliamento delle acque territoriali a prezzo di aspre tensioni con la Gran Bretagna, lo sfruttamento dell’energia idroelettrica e geotermica, l’afflusso di valuta dovuto alla presenza di una base americana a Keflavík, lo sviluppo del turismo, la forte urbanizzazione nella capitale, l’attenzione alle tecnologie avanzate hanno trasformato in pochi decenni un paese povero e arretrato in una democrazia scandinava ipertecnologica e relativamente ricca. Poiché una piccola popolazione deve farsi carico di un’economia produttiva, di uno stato coi suoi servizi e la sua amministrazione, di un’isola vasta con forze naturali prorompenti che vanno tenute sotto controllo, della ricerca e della cultura, delle attività sportive e ricreative, la disoccupazione è sempre stata quasi nulla e anzi parecchi islandesi svolgono diverse attività. Anche nell’Islanda del XX secolo la storia è stata una storia di lotta tra le classi: forti sindacati operai, presenza di un partito dei contadini (Framsóknarflokkur, Partito Progressista), scontri di piazza sull’appartenenza alla NATO. Il sistema politico era imperniato su quattro partiti; il partito conservatore (Sjálfstæðisflokkur, Partito dell’Indipendenza) ha radici nella lotta della borghesia per l’indipendenza dalla Danimarca ed è storicamente il maggiore partito islandese. Fino agli anni Ottanta, nel contesto dell’equilibrio bipolare del mondo, l’Islanda è stata governata da coalizioni: talvolta fra i progressisti e i socialdemocratici (Alþýðuflokkur, Partito Popolare), che in qualche caso hanno coinvolto anche il partito di sinistra filosovietico (che non si chiamava comunista ma Alleanza Popolare, Alþýðubandalag),1 talvolta fra i conservatori e un altro partito (ora i progressisti, ora i socialdemocratici), senza grandi scossoni nella politica economica e sociale di un paese capitalista scandinavo con un sistema di welfare e di istruzione non peggiore di tanti altri, un certo controllo dello stato sull’economia, un’inflazione talvolta preoccupante, una classe operaia in grado di difendersi. Dagli anni Ottanta però l’ideologia neoliberista trionfante nell’America di Reagan e nella Gran Bretagna della Thatcher contagia pure l’Islanda. Davíð Oddsson diventa sindaco di Reykjavík e poi primo ministro, avviando una strenua politica di privatizzazioni.2 Governa in coalizione ora coi socialdemocratici ora coi progressisti, ma nessuno degli alleati oppone alcuna resistenza alla sua politica liberista, che peraltro ottiene successi nella riduzione del debito pubblico, delle tasse e dell’inflazione. Le banche, in particolare, vengono privatizzate dal 2002. Inizia il periodo rampante della finanza islandese. I “vichinghi della finanza” attirano cospicui investimenti stranieri, offrono alti interessi e mutui vantaggiosi per le case, stimolando così anche l’edilizia; investono all’estero, essendo proprietà o quote importanti specialmente in Gran Bretagna e in Danimarca. L’orgoglio nazionale per la straordinaria abilità dei finanzieri islandesi, fino a poco prima dell’esplodere della crisi, è diffuso in tutta la società, compresi gli intellettuali di sinistra. La facilità di ottenere prestiti e mutui effettivamente contribuisce (o almeno così sembra!) al benessere del popolo islandese. Nel 2008 però, con l’esplodere della crisi, la favola allegra del neoliberismo si muta in tragedia.


Perché è cambiata l’Islanda? La crisi finanziaria islandese fa parte dell’attuale crisi internazionale del sistema capitalistico ma ha le sue peculiarità. Inizia a manifestarsi addirittura qualche mese prima del fallimento di Lehman Brothers che è l’emblema della crisi globale, anche se precipita solo nell’ottobre 2008 col fallimento delle tre principali banche del paese. Le banche privatizzate vengono affidate dal 2002 a manager legati al partito conservatore, che con una politica spregiudicata e rampante le dirigono prima verso una crescita rapida e sproporzionata, poi verso il baratro. Il rapporto della commissione parlamentare d’indagine documenta in modo dettagliatissimo i fatti. Le banche iniziano ad attrarre liquidità offrendo rendimenti particolarmente alti. Gli investitori accorrono e i profittli dei vecchi depositi vengono pagati coi depositi nuovi che via via affluiscono. Il sistema per un po’ funziona, ma come tutte le catene di S.Antonio diventa a rischio quando i nuovi investimenti non bastano più a reggere la progressione. Le banche inoltre acquisiscono titoli di debito, in gran parte stranieri, chiedendo interessi relativamente bassi. Il gioco diventa rischioso quando la mole dei titoli diventa eccessiva, troppi debitori non pagano e la banca non ha sufficienti riserve di capitali propri per coprire il rischio. A questo punto che fanno i “vichinghi della finanza” per fingere credibilità sui mercati? Le banche prestano grosse cifre ai propri azionisti di maggioranza, che le reinvestono in azioni delle banche stesse, che così appaiono ricapitalizzate (ma con soldi puramente virtuali, prestati). I politici conservatori chiudono sistematicamente gli occhi su tutti questi giochi azzardati e irregolarità amministrative. I loro alleati socialdemocratici sono anch’essi coinvolti nel sistema e si guardano bene dal metterlo in discussione. A un certo punto le tre banche non sono più in grado di pagare alle scadenze dovute, chiedono aiuti alla Banca d’Islanda e prestiti a banche straniere, finché il castello di carte crolla. In un certo senso, i “vichinghi della finanza” non hanno fatto altro che spingere a fondo la logica del capitalismo e la sua ideologia: cercare il massimo profitto e la massima crescita dei bilanci nel più breve tempo possibile, anche assumendosi dei rischi, e non disdegnare di ricorrere al gioco sporco se questo può essere d’aiuto. Dopo il crollo del sistema un certo numero di manager prudentemente fuggono all’estero. Per la popolazione, però, il crollo della finanza islandese e del miraggio neoliberista ha conseguenze ben più drammatiche di un dorato rifugio all’estero. La tua banca non c’è più. I tuoi risparmi depositati in banca non ci sono più. Il mutuo con cui avevi comprato la casa o l’auto non c’è più. Molti devono restituire i beni acquistati a credito. Vengono colpiti i piccoli borghesi che avevano sottoscritto mutui a condizioni favorevoli per comprarsi una casa di lusso o appartamenti da affittare, o che tramite le banche avevano fatto qualche investimento; ma vengono colpiti anche tanti lavoratori e pensionati che in banca conservavano i risparmi di una vita, giovani lavoratori che finalmente si erano comprati casa. Falliscono aziende, non più sostenute dalle banche; nel paese appare un fenomeno nuovo, la disoccupazione. Lo sgomento pervade l’Islanda. L’indignazione è interclassista.  Dopo l’annuncio del crack delle banche le prime manifestazioni sono semispontanee, indette da chi ha qualche esperienza di manifestazioni: collettivi di studenti, femministe, ambientalisti, gruppi di marxisti impenitenti. Sono manifestazioni tranquille, con pochissime bandiere islandesi, rosse o nere e molti slogan contro Davið Oddsson e Geir Haarde. Esprimono il rifiuto di pagare la crisi, anche con qualche gesto simbolico come bruciare la bandiera di una delle grandi banche, al grido di “bruciamo i pagamenti”. In una città di circa centomila abitanti come Reykjavík migliaia di persone assediano il parlamento, ogni sabato e in certi periodi ogni giorno, con manifestazioni sempre più determinate, sempre più numerose nonostante il progredire dell’inverno islandese. In qualche caso la polizia viene mandata a reprimere le manifestazioni. La cosa è del tutto insolita in Islanda e, sebbene le cariche siano infinitamente meno brutali di quelle che abbiamo visto a Genova durante il G8, cresce ancor più la rabbia popolare contro un governo incapace di risolvere la crisi e in grado di usare solo il manganello. Finalmente Geir Haarde si dimette, con altri dirigenti politici e manager dell’economia, e il Parlamento viene sciolto. È il primo risultato di mobilitazioni popolari tenaci, persistenti e determinate, sebbene limitate negli obiettivi alla cacciata di governanti screditati e a un generico rifiuto di pagare per loro. L’immediatezza della mobilitazione, il suo carattere unitario e semispontaneo, l’ampiezza e la persistenza delle manifestazioni illustrano, una volta di più, come il tempo storico non sia lineare ma caratterizzato da svolte e salti repentini. L’egemonia liberista e il predominio dei conservatori duravano da un ventennio, il diffuso benessere economico aveva consolidato la fiducia popolare nel modello capitalistico. Ma come sono stati repentini l’emergere alla luce della crisi delle banche e la dichiarazione di impotenza del governo, così è stato rapido il primo salto di qualità nella presa di coscienza delle classi subalterne: la sfiducia nei governanti e la decisione a cacciarli.

Come sta cambiando l’Islanda  Da due anni e mezzo l’Islanda ha un governo di centrosinistra, eletto sei mesi dopo il crack delle banche. Questo però non ha affatto risolto i problemi né gode di grande popolarità. Il caso dei fondi Icesave è emblematico. Col crack delle banche si sono volatilizzati anche i soldi depositati sui conti istituiti dalle filiali della Landsbanki in Gran Bretagna e Olanda. I governi di questi paesi hanno risarcito i loro cittadini correntisti e hanno chiesto di essere a loro volta risarciti dallo stato islandese. Il governo islandese ha accettato la richiesta, che pure avrebbe comportato sacrifici “lacrime e sangue” per la popolazione. Di qui una nuova impennata delle mobilitazioni, che ha portato a un referendum in cui il 93% degli elettori ha rifiutato di assumersi questo debito. Dalla vittoria elettorale dei partiti di centrosinistra alla svolta del referendum è passato meno di un anno. La terza svolta, dopo quelle del crollo del governo conservatore e della vittoria dei no nel referendum sul pagamento dei debiti di Icesave, è data dall’elezione di un consiglio costituzionale che nel luglio scorso approva una bozza di nuova costituzione dai contenuti molto avanzati. Questa sottolinea i diritti umani e una concezione egualitaria della società, accogliente per tutti; valorizza i diritti dei lavoratori, la difesa dell’ambiente, dei beni culturali e dei beni comuni, così come il diritto al welfare e all’istruzione pubblica gratuita. Sono indicati nella costituzione anche l’elezione del parlamento con una legge completamente proporzionale e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (una esigenza resa evidente dal comportamento opaco dei precedenti governanti che avrebbero dovuto sorvegliare le banche). Questi contenuti esprimono il grado di coscienza politica e sociale raggiunto dalla popolazione islandese in quasi tre anni di mobilitazioni. Dalla condivisione del modello liberista al ripudio dei governanti corrotti e incapaci, al rifiuto di pagare debiti non propri (i cartelli nelle manifestazioni ribadivano: “il popolo è senza colpa”) alla capacità di progettare una società più giusta, vi è stata una vera e propria successione di salti di qualità nella coscienza delle classi subalterne. Ma non meno importante dei contenuti della bozza di nuova costituzione è il modo in cui è stata scritta. I 25 membri del consiglio costituzionale sono stati eletti non su liste di partito ma con candidature individuali e un complesso sistema di votazione secondo preferenze ordinate (che è una forte indicazione di sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali). Sono stati eletti i 25 candidati che hanno raccolto preferenze individuali più elevate. Questi non si sono riuniti in un palazzo chiuso ma hanno reso pubbliche tutte le discussioni, trasmettendole anche in streaming, offrendo ai cittadini la possibilità di inviare in ogni momento proposte e commenti online. Certo la dimensione non ampia della popolazione islandese ha favorito queste forme di partecipazione prossime a una democrazia diretta, ma si tratta comunque di una scelta che richiede, in primo luogo, una volontà politica. La bozza di costituzione è, però, finora soltanto una bozza; spetta al Parlamento validarla definitivamente e non mancano manovre dilatorie al riguardo. Le dichiarazioni del primo ministro in occasione dell’apertura dell’ultima sessione del Parlamento8 evidenziano tensioni col presidente della repubblica e, a voler pensare male, possono lasciare intendere una proposta di scambio: non intralcerò la nuova costituzione se non mi intralciate nei pagamenti di debiti che possono servire ad avvicinarci all’unione europea. La situazione è tuttora fluida, instabile e suscettibile di evoluzione.

L’Islanda è cambiata di colpo? Pur se la coscienza politica degli islandesi ha compiuto rapidi salti di qualità in questi tre anni, a seguito della crisi, non va però dimenticata l’antica tradizione politica di sinistra, con una forte componente marxista. Alleanza Popolare10 tra gli anni quaranta e novanta ha avuto percentuali di voto solitamente fra il 15 e il 20%, un’influenza preminente nei sindacati e, a fine anni quaranta, nelle forti mobilitazioni contro l’adesione alla NATO, sebbene in seguito la sua partecipazione a governi di coalizione ne abbia fortemente limitato la radicalità. Nel periodo post-sessantotto esistevano gruppi maoisti e trotskisti. Negli anni ottanta e novanta si presentò alle elezioni una formazione femminista, la Lista delle Donne (Kvennalistinn) che, ottenendo tra il 5 e il 10% dei voti, costituì la prima esperienza al mondo di rappresentanza femminista in parlamento. Verso la fine degli anni novanta, nel clima culturale e politico della “fine delle ideologie” che accompagnò il crollo dell’URSS e dei regimi burocratici nell’est europeo, sia Alleanza Popolare sia la Lista delle Donne si sciolsero, perché la maggioranza dei loro gruppi dirigenti decise pragmaticamente di confluire nei socialdemocratici; ma non tutta quella esperienza andò perduta. La minoranza di sinistra di Alleanza Popolare rifiutò la confluenza e fondò un nuovo partito, la Sinistra Verde (Vinstragrænir), caratterizzato da tematiche laburiste e ambientaliste, che già nel 1999 ottenne il 9% dei voti con un trend da allora in crescita. E, al di là della nascita sul piano istituzionale di un partito di sinistra verde, l’esperienza dei decenni precedenti ha continuato a vivere nella memoria delle generazioni meno giovani, in alcuni blog12, nella cultura nazionale e in qualche aggregazione informale giovanile. Se dunque le idee anticapitaliste e socialiste “vengono da lontano” e, come vecchie talpe, hanno continuato anche negli ultimi decenni a scavare sottoterra e a circolare attraverso processi molecolari, negli ultimi tre anni gli eventi hanno avuto una serie di brusche e rapide accelerazioni a seguito all’esplodere della crisi finanziaria e al precipitare delle sue conseguenza. Decisiva è stata la radicalizzazione della piccola borghesia, precedentemente il principale pilastro sociale dell’ordine neoliberista, che si è trovata materialmente impoverita dalla crisi e soggettivamente si è sentita (non a torto) tradita da un sistema politico-economico che prometteva libertà, benessere, ricchezza facile.
Abbiamo visto così anzitutto le manifestazioni contro il governo di Geir Haarde e il suo
entourage di manager e banchieri, l’elezione di un governo di centrosinistra e poi il suo rapido sfiduciamento popolare nel primo referendum sul debito. Nelle foto delle manifestazioni per il referendum che più spesso si sono viste in Italia lo striscione di apertura porta la scritta Alþingi götunnar, “Il Parlamento della strada”: la democrazia partecipativa del movimento contrapposta alla politica istituzionale, al Parlamento a maggioranza di centrosinistra democraticamente eletto da neppure un anno ma incapace di rispondere alle richieste popolari e di rigettare quelle della finanza europea. A ulteriore riprova della sfiducia nei confronti della politica istituzionale, compreso il governo di centrosinistra, registriamo dopo breve tempo l’elezione di un attore comico a sindaco di Reykjavík e poi il 60% di voti contrari nel secondo referendum su una nuova versione (attenuata e motivata con argomenti europeistici) della proposta di pagare i debiti di Icesave a Gran Bretagna e Olanda. Da allora, i sondaggi indicano regolarmente circa un 15% di fiducia popolare per il governo (e percentuali ancora minori per l’opposizione di centrodestra). In questo quadro si comprende il senso dirompente della proposta di un’assemblea costituente eletta non in base a liste di partito, la vivace partecipazione popolare (soprattutto attraverso mezzi informatici) alla discussione della bozza di costituzione e l’emergere di contenuti egualitari, ambientalisti e socialisteggianti.
Il quadro politico istituzionale presenta segni vistosi di instabilità. Nelle elezioni del 2009,
oltre ai quattro partiti principali (Sinistra Verde, Unione socialdemocratica, Partito Progressista di tradizione contadina e Partito dell’Indipendenza conservatore) ha ottenuto una rappresentanza in parlamento anche il nuovo Movimento dei Cittadini (Borgarahreyfingin), su confuse posizioni democratico-radicali, col 7%; ma dei 4 deputati eletti uno è subito passato con la Sinistra Verde, mentre gli altri 3 ne sono usciti dopo qualche mese fondando un nuovo Movimento (Hreyfingin), non più dei cittadini, su posizioni antieuropeiste. D’altra parte, anche un quinto dei deputati della Sinistra Verde sono usciti dal loro partito. L’attore comico Jón Gnarr, nella sua vittoriosa campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Reykjavík, ha fondato una lista chiamata provocatoriamente il Partito Migliore (Besti Flokkurinn) ma nonostante le idee radicali e anarcoidi di Jón Gnarr il Partito Migliore ora inizia ad assumere vita propria, assorbendo transfughi dal centrista Partito Progressista e proponendosi come possibile puntello della componente moderata ed europeista del governo. Dalla radicalizzazione della piccola borghesia emergono quindi nuovi e instabili partiti, che per ora contribuiscono a mantenere in fibrillazione il quadro istituzionale ma rischiano di cristallizzarsi in nuove espressioni del conservatorismo piccoloborghese. All’interno del governo vi sono tensioni soprattutto sulle questioni di politica economica e internazionale, espresse ad esempio dalle recenti polemiche fra il primo ministro e il ministro della pesca (Jón Bjarnason, della sinistra verde) e perfino fra il primo ministro e il presidente della repubblica. Le instabilità istituzionali, come sempre, non sono che un riflesso delle dinamiche e dei conflitti nella società reale e costituiscono ulteriori indicazioni del fatto che la partita è tuttora in corso. Una serie di svolte sono avvenute (la fine del dominio politico conservatore, il trionfo nel referendum dei no al pagamento del debito, la bozza di nuova costituzione), altre ne possono ancora arrivare.

È una rivoluzione? È una rivoluzione socialista? Talvolta si parla di rivoluzione islandese, “la rivoluzione delle pentole e delle padelle” e in effetti il movimento popolare ha prodotto e sta producendo cambiamenti di governo, di costituzione e della cultura e ideologia dominanti. Non sono però cambiati né il sistema politico (una repubblica parlamentare) né quello economico (che rimane capitalista). Non si è quindi compiuta, almeno finora, né una rivoluzione politica (anche se ci si è liberati da un ceto politico corrotto) né una rivoluzione sociale.16 Ma sarebbe sbagliato dare un giudizio classificatorio, un’etichetta, basandosi solo sullo stato attuale delle cose senza tenere conto del loro sviluppo dinamico. La nuova costituzione non è ancora in vigore, la mobilitazione popolare non è conclusa, questioni politiche ed economiche fondamentali sono tuttora aperte e oggetto di controversia, il sistema politico è instabile e il governo non gode di molto credito. Possiamo dire che si tratta di una rivoluzione in corso. Una  rivoluzione tuttora incompiuta, iniziata come lotta contro un ceto politico e manageriale screditato, ribellione a una crisi finanziaria percepita come ingiusta; ma a questo punto di partenza sono seguiti rapidi salti di qualità ed è senz’altro possibile che, con nuovi salti, emerga una spinta verso cambiamenti davvero rivoluzionari. Le rivoluzioni spesso non nascono con programmi chiari già all’inizio come Minerva dalla testa di Giove, ma maturano strada facendo; iniziano con ideologie democratiche liberali ma, di fronte all’incapacità del capitalismo di risolvere i problemi, si riscoprono socialiste. “Per un periodo di durata indefinita, tutti i rapporti sociali si trasformano con una costante lotta interna. La società non fa che mutare pelle di continuo. Ogni fase della trasformazione deriva direttamente dalla precedente.” In Islanda potrebbe andare così; ma potrebbe anche accadere che, superata la fase acuta della crisi, la società si riassesti in un “normale” funzionamento del sistema capitalistico, secondo un modello liberista reso appena più avveduto dall’esperienza della crisi. Molto dipenderà dalle contingenze internazionali e molto dalla capacità dei leader del movimento. Devono venire al pettine (e presto ci verranno) due nodi fondamentali: il rapporto con l’Unione Europea e le scelte di politica economica, in particolare riguardo la pesca che è la principale ricchezza nazionale.
L’Islanda appartiene all’Europa?  L’Islanda aderisce a diversi trattati europei tra cui l’EFTA, ma non fa parte dell’Unione Europea. Dei due partiti di governo, i socialdemocratici sono fortemente favorevoli all’adesione, mentre la sinistra verde è contraria. Anche l’opposizione è divisa: i progressisti sono nettamente contrari all’UE e nei conservatori, che pure sono filo-NATO e filo-americani, la posizione contraria è prevalente. Ragioni economiche e ideologiche si intrecciano. La borghesia islandese, che ha un peso modesto nell’economia internazionale, in assenza di barriere protezionistiche potrebbe essere fagocitata dai concorrenti europei. Inoltre l’Islanda ha dal medio evo una tradizione di indipendenza politica e di cultura nazionale, che nell’ottocento è stata valorizzata dalla borghesia islandese come base ideologica della lotta per l’indipendenza dalla Danimarca.18 Non a caso, il partito conservatore continua a denominarsi Partito dell’Indipendenza. I socialdemocratici, invece, sostengono da tempo l’adesione all’UE in nome della stabilità della moneta. Venti o trent’anni fa, in presenza di una forte inflazione, agganciarsi sia pure in modo subordinato alle economie europee poteva apparire come una cura meno dolorosa rispetto al drastico monetarismo e liberismo conservatori. L’integrazione di settori della borghesia islandese nelle cordate capitalistiche europee è un obiettivo concreto che si sposa bene con un’ideologia di apertura culturale all’Europa e al mondo. Quanto ai conflitti con la Gran Bretagna nelle “guerre del merluzzo”, le acque territoriali islandesi furono ampliate tre volte, per decisione di coalizioni di centro-sinistra nel 1958 e nel 1972, di una coalizione di centro-destra nel 1976. Il rapporto con l’Europa è stato quindi motivo di divisioni entro sia la destra sia la sinistra dello schieramento politico istituzionale, nonché argomento controverso nell’opinione pubblica.  A seguito della crisi finanziaria del 2008 l’obiettivo di aderire all’Unione Europea ha goduto inizialmente di grande favore nella popolazione islandese, anche tra le classi subalterne e la piccola borghesia impoverita. Alla luce dell’esperienza di una svalutazione di circa il 50% della corona islandese, infatti, appariva assai desiderabile l’idea di stabilizzare l’economia e avere come moneta nazionale il solido euro anziché una piccola króna evanescente. Si potevano sentire argomenti “di sinistra” a favore dell’adesione all’UE, come ad esempio: Non me ne importa nulla se poi verranno le navi inglesi a pescare nelle nostre acque, intanto ormai i pescherecci islandesi sono tutti in mano a grandi capitalisti, per cui non fa nessuna differenza che sia un capitalista islandese o uno inglese a sfruttare il nostro mare. Apparentemente l’argomento non fa una grinza. In realtà, esso ignora i vincoli che le istituzioni europee impongono ai paesi membri, anzi, la vera e propria espropriazione di sovranità politica degli stati i cui governi e parlamenti sono obbligati a obbedire alle direttive della BCE e della commissione europea. Come ben sappiamo, di solito queste direttive impongono politiche neoliberiste e antipopolari. È chiaro quindi che un’eventuale adesione all’Unione Europea porrebbe una pietra tombale sulla rivoluzione islandese, imponendo un ritorno al neoliberismo eterodiretto da Bruxelles e Francoforte.  La richiesta dei governi britannico e olandese di essere risarciti dallo Stato islandese per il fallimento dei fondi Icesave, e la conseguente battaglia referendaria che ha portato alla decisione di non pagare il debito, hanno iniziato a evidenziare alla popolazione islandese i costi dell’adesione all’Europa. Tuttavia lo spostamento nell’opinione pubblica rispetto alla questione europea non è stato ancora decisivo: infatti a un primo referendum in cui il 93% ha votato contro il pagamento del debito ne ha fatto seguito un secondo, in cui il pagamento (sia pure non totale) del debito veniva motivato con ragioni europeistiche e i voti contrari al pagamento, pur restando maggioranza, sono stati questa volta solo il 60%. Le notizie sui “sacrifici” e le privatizzazioni che l’UE impone alla Grecia e agli altri paesi finanziariamente instabili, tra cui l’Italia, e gli scioperi che ne sono seguiti in questi paesi stanno probabilmente contribuendo a un’ulteriore presa di coscienza degli islandesi. Anche la recente denuncia della commissione di vigilanza dell’EFTA contro l’Islanda può avere effetti “pedagogici”. Le istituzioni europee iniziano a essere percepite come un cerbero del capitale. L’adesione all’UE resta però un caposaldo del programma dell’unione socialdemocratica, per cui l’esito della partita pro o contro l’adesione sarà decisivo per il futuro dell’Islanda.
Il futuro dell’economia. I rapporti di produzione e di proprietà sono sempre essenziali per definire i cambiamenti di regime economico-sociale. Per questo è fondamentale l’attuale discussione (o per meglio dire, gli attuali contrasti) sulle quote di pesca. Storicamente l’economia islandese era basata sull’agricoltura/allevamento e sulla pesca. I contadini erano considerati la classe pilastro della struttura sociale dell’Islanda. Il settore agricolo nell’ultimo mezzo secolo ha però perso importanza, le campagne si sono spopolate, la figura del contadino indipendente ha perso la sua centralità sociale e culturale, l’agricoltura è anzi sussidiata per garantirne la sopravvivenza. Cambiamenti tecnologici, globalizzazione, effetti del neoliberismo hanno parecchio stravolto la struttura dell’economia islandese: secondo i dati della banca centrale islandese nel 2009 il 26% del PIL è dato dai servizi e il 23,6% da rendite e attività finanziarie e assicurative. La pesca e il trattamento del pesce sono calati dal 16% del 1980 al 6,3% del 2009. L’agricoltura produce l’1,4% (ed è sovvenzionata con l’1%) del PIL. Tuttavia, se si guarda alle esportazioni, nel 2009 il pesce ha costituito il 26% del totale (e il 42% delle esportazioni di merci). Malgrado il calo dal 1990 (quando le corrispondenti cifre erano rispettivamente il 56% e il 75%) si tratta sempre di una porzione molto consistente, per cui i prodotti del mare costituiscono tuttora il settore principale dell’export. In compenso negli ultimi decenni è cresciuta l’esportazione di metalli (alluminio e ferrosilicio costituiscono il 24% del totale nel 2009), la cui produzione è facilitata dalla grande disponibilità di energia idroelettrica a buon mercato. Se la pesca, pur restando un settore centrale dell’economia, è diminuita di peso non è però solo per la crescita di altri settori, come il terziario, la metallurgia, l’industria del software, quella farmaceutica e il turismo. Vi è stata anche una effettiva riduzione quantitativa della pesca a causa delle limitazioni introdotte a partire dal 1981 e dell’istituzione delle quote nel 1984. La limitazione della pesca del merluzzo e di altre specie è stata una scelta saggia per ragioni ecologiche, in quanto una pesca indiscriminata avrebbe finito per mettere a rischio le specie pescate: il Canada non ha seguito la stessa via e la conseguenza è stata l’esaurimento dei banchi di Terranova, un tempo la più grande popolazione di merluzzi al mondo. Il problema sociale è, però, chi acquisisce il diritto (ora limitato) di pescare. La scelta dei conservatori islandesi, a partire dagli anni Ottanta, è stata la suddivisione del totale nazionale consentito in quote individuali assegnate ai proprietari di pescherecci e calcolate in proporzione al pescato degli anni precedenti; tali quote possono essere liberamente vendute e comprate, al pari delle azioni di qualsiasi azienda in un sistema capitalistico. In questo modo però i proprietari di un singolo peschereccio o di una flotta molto piccola, anche a seguito della riduzione progressiva del totale nazionale, si trovarono impediti a pescare una quantità sufficiente per rendere redditizia l’attività, e quindi costretti a vendere le quote ai padroni di flotte di pescherecci di grande tonnellaggio e con tecnologie avanzate. Nel giro di un decennio i pesci nel mare erano di fatto privatizzati, perché l’industria della pesca islandese era ormai quasi interamente concentrata in poche mani. Di qui l’eliminazione dei piccoli pescatori, la drastica riduzione della forza lavoro impiegata, la crescente ineguaglianza economica, lo spopolamento delle piccole comunità costiere, i cambiamenti nella cultura della pesca. La concentrazione della proprietà e dei profitti della pesca nelle mani di pochi capitalisti è diffusamente percepita come un’ingiustizia sociale (anche perché le risorse marine sono nominalmente proprietà collettiva della nazione) e negli anni Novanta ci sono stati importanti scioperi dei pescatori. L’attuale governo, inizialmente, aveva proposto di espropriare gradualmente (nel giro di 20 anni) le quote e sostituirle con un sistema di leasing con corsie preferenziali per le piccole comunità costiere. Ora pare che questa idea sia stata abbandonata, ma le proposte successive vanno ancora nel senso di una riduzione della concentrazione e trasferibilità delle quote e di un maggiore sostegno ai piccoli paesi costieri. Tuttavia gli industriali della pesca premono fortemente contro queste proposte (con argomenti basati sulla razionalità capitalistica: la concentrazione della proprietà garantisce efficienza) e anche in seno al governo vi sono scontri fra primo ministro (socialdemocratica ed europeista) e ministro della pesca (della sinistra verde e antieuropeista), con richieste di dimissioni di quest’ultimo. il governo è una coalizione che comprende esponenti liberisti temperati, liberali fautori di un modello capitalista dal volto un po’ più umano, ambientalisti non necessariamente intransigenti, esponenti di una sinistra cautamente socialisteggiante, fautori e oppositori dell’adesione all’unione europea. È ovvio che un po’ di nodi dovranno venire al pettine e che non sempre i compromessi saranno possibili. L’interazione fra politica istituzionale, discussioni in rete, forme di partecipazione dal basso e manifestazioni di piazza, l’efficacia della pressione dei movimenti, saranno decisive per dirigere decisamente la rotta verso la proprietà collettiva dei principali mezzi di produzione o verso il ritorno alle logiche liberiste. Se la mobilitazione è stata straordinariamente unitaria contro “nemici comuni” come i politici conservatori corrotti, i manager incompetenti e intrallazzatori, il pagamento dei debiti Icesave da parte dello Stato, va pur detto che nei movimenti sono abilmente presenti interessi differenti. Nelle manifestazioni dell’ultimo anno spicca la presenza organizzata di due sigle, Attac e l’associazione della piccola proprietà immobiliare, che obiettivamente rappresentano gli interessi di classi sociali diverse. Fin qui il movimento islandese ha dato prova di un incredibile ecumenismo (ad es. la bozza di costituzione è stata approvata all’unanimità da tutti i 25 membri del consiglio costituzionale), ma è prevedibile che su questioni molto materiali come la proprietà dei diritti di pesca non sia facile continuare a mediare.  Pur senza farsi troppe illusioni sulla natura del governo islandese (che come si è già detto non gode di altissimo credito nella popolazione) né delle forze politiche che lo costituiscono (divise anche al proprio interno), va però segnalato come un fatto da non trascurare che nel governo e nel suo entourage esistono effettivamente delle tendenze di sinistra. Un’ampia intervista di Huginn Freyr Þorsteinsson, consulente politico del ministro delle finanze, fornisce un quadro abbastanza chiaro di ciò che è o non è condiviso nell’attuale schieramento di governo. Gli scopi condivisi dal governo sarebbero la “risurrezione” dell’economia islandese e l’allineamento agli standard di welfare dei paesi nordici. È generalmente riconosciuto anche che le politiche di privatizzazione dei precedenti decenni sono state nocive e che bisogna evitare di ripetere l’errore, per cui è condivisa la scelta di “stare alla larga dalle privatizzazioni” e dalle politiche di austerità guidate da principi neoliberisti. Vi è invece maggiore discussione su questioni come la proprietà e il controllo delle banche, la proprietà e lo sfruttamento di risorse quali i diritti di pesca e l’energia idroelettrica e geotermica, il destino delle aziende fallite a causa della crisi, il controllo pubblico sui mercati.

Possiamo imparare qualcosa dall’Islanda?  Il primo insegnamento dell’esperienza islandese è il carattere repentino delle svolte e dei salti di qualità: il tempo storico non scorre in modo uniforme, può esserci un intero ventennio in cui non accade nulla di sconvolgente, dopodiché improvvisamente precipita una crisi, la lotta di classe e la partecipazione politica si risvegliano e la situazione diventa potenzialmente rivoluzionaria in breve tempo. Questo comporta anche, da parte di un’organizzazione politica adeguata,25 la capacità di cogliere la dinamica del cambiamento e saper modificare altrettanto rapidamente gli obiettivi da indicare, le proposte politiche immediate, la tattica d’azione. In Islanda evidentemente non c’è un’organizzazione politica adeguata ma, di fronte alla drammaticità e all’urgenza dei compiti, questa viene almeno in parte surrogata ora da gruppi tematici o almeno apparentemente residuali, ora da discussioni in rete o dinamiche spontanee di movimento, ora dalle tendenze più di sinistra nello schieramento istituzionale e governativo. Questa surroga è almeno in parte possibile data anche la dimensione numericamente ridotta della popolazione (circa 300 mila abitanti). In Italia, dove la popolazione è 200 volte più numerosa, le conseguenze della mancanza di un’organizzazione politica adeguata sono inevitabilmente più pesanti (lo si vede anche nelle difficoltà di dare una risposta efficace alla manovra finanziaria del governo Monti) e perciò tanto maggiore la necessità e l’urgenza di costruire un’adeguata organizzazione politica anticapitalista. Un secondo insegnamento dell’esperienza islandese, e per la verità di tante altre esperienze in giro per l’Europa, è l’impossibilità di sperare alcunché di positivo da parte dei governi cosiddetti di centrosinistra. In Islanda, dopo soli 7 mesi dalla vittoria elettorale, i partiti di centrosinistra approvano una legge che impone alla popolazione sacrifici “lacrime e sangue” per pagare il debito di Icesave alla Gran Bretagna e all’Olanda. C’è voluta una straordinaria mobilitazione popolare, il coinvolgimento del presidente della repubblica e infine un referendum per stroncare una legge così illuminata e progressista varata dal centrosinistra islandese. Non pago della lezione, dopo 14 mesi il governo islandese ci riprova ma un nuovo referendum li ferma ancora. Non meraviglia che la fiducia nelle istituzioni e il loro prestigio siano così bassi in Islanda! Il caso islandese da questo punto di vista è tutt’altro che unico, se poniamo mente alla politica suicida dei socialisti greci e spagnoli di fronte alla crisi. Quanto all’Italia, la precarietà del lavoro è esplosa “grazie” al pacchetto Treu, la guerra alla Jugoslavia è stata condotta dal governo D’Alema, i tagli alla scuola sono iniziati col ministro Russo Jervolino, l’università ha iniziato a essere privatizzata dal socialista Ruberti e il suo successore L. Berlinguer ha ben proseguito l’opera, la militarizzazione della Val di Susa è stata proposta da Fassino (Maroni glie l’ha prontamente accordata) e le pensioni sono state tagliate e svuotate in successione da Dini, Maroni, Prodi, Tremonti e ora Monti, con un’alternanza di mazzate di centrodestra, di centrosinistra e bipartisan. Eppure c’è ancora chi parla di baciare rospi e di alleanze elettorali col PD. La stessa elezione di Jón Gnarr a sindaco di Reykjavík, che è stata una protesta sia contro i conservatori caduti in disgrazia, sia soprattutto contro i socialdemocratici che avevano appena approvato “lacrime e sangue” per pagare i debiti Icesave, non sembra avere avuto effetti di rilievo né sulla vita della città né sulla politica islandese. A noi italiani può ricordare un altro attore comico fondatore di un movimento che ha riscosso un certo successo in elezioni amministrative recenti, ma che (come Jón Gnarr) non ha posizioni politiche chiare e sostanzialmente alternative ed esprime più che altro una confusa protesta simbolica. Un altro insegnamento dell’esperienza islandese, banale ma importantissimo, è che vincere è possibile. Anche in Italia nonostante tutto c’è stata di recente qualche piccola vittoria, come quella nei 4 referendum di giugno, che naturalmente il regime bipolare si affretta a seppellire in modo bipartisan. In Islanda, con una crisi molto più grave di quella italiana, grazie a mobilitazioni molto più forte che in Italia, si sono ottenuti risultati infinitamente superiori: il popolo islandese ha massicciamente respinto il pagamento di debiti non suoi, c’è una nuova e avanzata costituzione pronta per entrare in vigore, c’è una rivoluzione in marcia e, per quanto il processo sia tutt’altro che concluso, è comunque ampiamente riconosciuto che l’Islanda è uno dei paesi che stanno meglio uscendo dalla crisi. Un altro insegnamento riguarda le forme di partecipazione e democrazia diretta. Ogni paese inventa le sue forme di partecipazione democratica, di democrazia rivoluzionaria, dalla comune di Parigi ai soviet russi ai consigli operai in Italia. La tecnologia odierna, la piccola dimensione della popolazione e la sua particolare distribuzione sul territorio hanno indotto a usare soprattutto internet per costruire il referendum, discutere la costituzione, dare continuità alla mobilitazione e premere sul parlamento. Non si è provveduto a “spezzare la macchina dello stato borghese”, anzi per la verità nessuno ci ha nemmeno provato ed esistono un parlamento in fibrillazione, un primo ministro socialdemocratico e un attore comico sindaco della capitale eletti secondo tutte le forme delle regole democratiche consuete. Ma nessuno si sogna di delegare loro il potere in modo incondizionato. Gli organismi alternativi come il comitato costituzionale, le discussioni in rete e le manifestazioni in piazza affiancano gli organismi formalmente democratici dello stato e creano una dualità tra organi del potere politico e organi della partecipazione democratica e della mobilitazione popolare.  Non a caso in Italia negli ultimi decenni, al mutare dei rapporti di forza, le burocrazie sindacali hanno “superato” i consigli di fabbrica sostituendoli con le più controllabili RSU e ora la borghesia vuole eliminare anche queste sopprimendo ogni forma di democrazia sui luoghi di lavoro. Non a caso i movimenti universitari italiani nel corso dei decenni hanno vissuto momenti di lotta molto acuta seguiti da lunghi periodi di stagnazione, anche per mancanza di strumenti democratici di coordinamento controllati dal basso, che dessero continuità ai movimenti anche nei periodi di minor tensione. Senza strumenti di partecipazione democratica dal basso rimangono incontrastate le direzioni burocratiche o le élite autoproclamate, con risultati deleteri per i movimenti reali. In Islanda lo stato borghese non è spezzato, ma è fortemente disturbato nel suo modo di lavorare. Apparentemente almeno qualcosa è stato spezzato, cioè il legame fra banche privatizzate, politici corrotti e manager disonesti, grazie a meccanismi di controllo effettivo dello stato sulla finanza. La richiesta di trasparenza è stata in primo piano nei lavori del comitato costituzionale. Si sono spezzati anche un governo e la politica di sacrifici approvata dal governo successivo. Non sappiamo se il movimento riuscirà a spingersi ancora più avanti, spezzando tutte le forme di separatezza della politica dalle esigenze e dalle realtà della popolazione. Quanto più il movimento sarà capace di intromettersi nelle questioni economiche, ecologiche e sociali, tanto più le forme tradizionali della democrazia rappresentativa si riveleranno orpelli che impacciano la partecipazione dal basso e garantiscono uno spazio al lobbysmo. La sfida aperta, per i movimenti, è far crescere la partecipazione democratica dal basso cosicché le modalità borghesi della politica (il lobbysmo, il controllo dei media da parte del capitale, l’intrallazzo fra borghesia e ceto politico) non possano più esercitare la propria egemonia su organismi rappresentativi eletti democraticamente ma separati; il problema da risolvere è rispettare l’universalità del diritto al suffragio senza perdere la sostanza del diritto all’informazione, al controllo e alla partecipazione decisionale.  Infine l’Islanda ci insegna la dimensione europea dei problemi. Se il popolo islandese è riuscito a fare una mezza rivoluzione è anche perché l’Islanda non è uno stato dell’unione europea. Se ne facesse parte, avrebbe dovuto ingoiare medicine greche e olio di ricino tedesco: pagare debiti, fare sacrifici, accrescere l’ineguaglianza, devastare l’ambiente e cacciarsi nella recessione, come si fa in tutti i paesi civili europei. Ma per l’Italia e per gli altri paesi dell’UE è improbabile potersi staccare dall’Europa; i meccanismi d’integrazione sono già andati piuttosto avanti e non si può più tornare a “prima”. Il fatto che i sacrifici vengano imposti ora all’Irlanda, ora alla Grecia, ora al Portogallo, ora all’Italia come una naturale e fatale necessità europea suggerisce che per i popoli di questi paesi è ben difficile resistere in ogni singolo paese al massacro dei diritti e alla rapina che la borghesia organizza su scala continentale. È necessario un movimento europeo, sono necessari scioperi europei contro le politiche che la borghesia europea impone da Bruxelles e da Francoforte.

Epilogo La storia non è finita e non sappiamo come andrà a finire. La letteratura islandese è ricca di  storie in cui le aspirazioni alla giustizia o al riscatto sociale si spengono in una fine tragica. Nella  saga omonima l’anziano e saggio Njáll viene bruciato vivo nella sua casa con tutta la famiglia. Nei romanzi di Laxness Gente indipendente e Salka Valka il contadino Bjartur assiste impotente alla rovina della fattoria e della sua famiglia, la militante Salka resta sola e disillusa in un mondo in cui regna l’opportunismo. Non si trova facilmente in letteratura un lieto fine per chi aspira a un mondo migliore. Ma qui non siamo nella letteratura e la storia che gli islandesi stanno scrivendo è quella del loro futuro. Il popolo islandese, con tenacia e ostinazione islandese, ha fatto fronte al crack delle banche e all’improvvisa penuria, ha acceso falò in piazza nelle più fredde notti d’inverno e si è sbarazzato di un governo corrotto, ha legato le mani di un governo irragionevole e ha scritto una nuova costituzione. Non credo che vorrà facilmente arrendersi per tornare a quell’ordine naturale in cui le ricchezze sono al di sopra delle vite degli uomini.

Postilla (10 gennaio 2012)
Il 3/1/2012 vi è stato un rimpasto del governo; il Ministero della Pesca e dell’Agricoltura è stato accorpato al Ministero dell’Economia e Jón Bjarnason non è più ministro. La sua prima dichiarazione è stata che lo hanno esautorato per via della sua posizione contraria all’adesione alla UE. Come volevasi dimostrare, un po’ di nodi cominciano a venire al pettine.

 

note

1 La sporadica presenza (’56, ’71, ’78) di Alleanza Popolare al governo contribuì alla politica islandese di ampliamento delle acque territoriali, ma a parte ciò si esaurì in estenuanti trattative sui rapporti con la NATO e nell’estromissione dal governo quando si aprivano conflitti su questioni concrete, come la politica salariale nel ’58. Vedi: Mintz A., De Rouen .R. (2010), Understanding Foreign Policy Decision Making, Cambridge University Press; Janda K. (1980), Political Parties: A Cross-National Survey, New York: The Free Press; e in italiano il sito http://islanda.altervista.org/

2 Vedi il sito ufficiale governativo http://eng.forsaetisraduneyti.is/ministry/Privatisation/

3 Vedi il sito ufficiale della commissione d’indagine http://sic.althingi.is/

4 Finché il gioco rischioso o addirittura sporco ha successo, la morale borghese elogia l’audacia e l’abilità dei giocatori. Non appena falliscono, però, anche la morale borghese autorizza a indagare sui crimini degli sconfitti. Ad esempio, Ingvar Vilhjálmsson, un alto manager della banca Kaupþing, è stato recentemente condannato a restituire i soldi che si era auto-prestato prima che la banca fallisse: non bruscolini ma l’equivalente di oltre 16 milioni di euro (Morgunblaðið, 2 novembre 2011). Il Parlamento in settembre ha autorizzato l’incriminazione dell’ex primo ministro conservatore Geir Haarde per omessa vigilanza sul sistema bancario, negando però l’autorizzazione nei confronti di altri indagati. Si può ritenere che in questo caso Geir Haarde abbia funto da capro espiatorio, indicato quale unico responsabile per evitare di affondare la lama in tutto l’intrico di commistioni fra sistema politico e finanziario. (Di tale intreccio erano infatti partecipi anche esponenti del partito socialdemocratico, ora al governo ma precedentemente alleato dei conservatori).

5 Il grande scrittore Einar Már Guðmundsson, in un’articolo sull’eruzione al Fimmvörðuháls che con le sue nuvole di cenere aveva interrotto i voli aerei in mezza Europa, tratta l’eruzione vulcanica come una metafora della rivoluzione sociale e scrive: “La gente, qui e altrove, vede ogni giorno calpestati i concetti di giustizia ed è stanca. Si è accorta che c’è molto di sbagliato fin dalle fondamenta. E allora ecco il vulcano, la cenere, l’eruzione naturale e magari sociale. In Islanda abbiamo già avuto i primi segnali di questa insoddisfazione quando la gente ha detto ‘no’ alla restituzione dei soldi delle banche islandesi finite gambe all’aria … Gli inglesi vogliono dall’Islanda soldi che di islandese hanno solo il nome. La gente che li muoveva, che li ha fatti sparire, era – anzi è – ancora lì tra loro, annidata nella City. Sanno chi sono, vadano ad arrestarli e non ci rompano le scatole con queste stupidaggini.” Il Secolo XIX, 17 aprile 2010, “In quel vulcano c’è la nostra rivolta”.

6 Un sondaggio condotto in ottobre 2011 rivela che il governo gode della fiducia del 14,1% della popolazione; ancora minore è peraltro la fiducia nell’opposizione di centrodestra (13,6%) o nel parlamento come istituzione (10,9%): vedi http://www.grapevine.is/News/ReadArticle/Trust-For-Government-Greater-Then-For-Opposition

7 Vedi il sito ufficiale del consiglio costituzionale, http://stjornlagarad.is

8 Iceland Review Online, 4 ottobre 2011.

9 Il pagamento dei debiti Icesave è effettivamente iniziato, nella misura di 21000 euro per ogni creditore olandese o inglese, non a carico dello Stato ma di Landsbanki, attraverso un fondo costituito dai crediti recuperati. La Corte Suprema ha infatti deliberato che, sebbene a seguito del referendum lo Stato non sia tenuto al pagamento, Landsbanki resta comunque responsabile dei debiti. Essendo ora prevalentemente statale la proprietà di Landsbanki, si tratta in parte di un modo di aggirare il risultato dei referendum, che in parte però è anche rispettato in quanto non vengono imposti sacrifici diretti ai cittadini, ma si procede gradualmente a seguito del recupero dei crediti della banca. Sembra che ci vorranno parecchi anni perché Landsbanki possa rimborsare i debiti e che non siano certi di poterli rimborsare per intero, ma che la volontà sia quella. Vedi http://grapevine.is/Home/ReadArticle/Breaking-News-Landsbanki-Legally-Bound-To-Pay-Icesave e http://www.icenews.is/index.php/2011/12/09/uk-and-nl-receive-firsticesave-refunds-esa-still-not-sure-about-legal-action

10 Questo partito nacque nel 1938, nel quadro della politica terzinternazionalista dei “fronti popolari”, dalla fusione tra il Partito Comunista e la frazione di sinistra del Partito Socialista.

11 A seguito di questa unificazione il partito comunemente designato socialdemocratico cambiò nome da Alþýðuflokkur (Partito Popolare) a Samfylkingin (l’Unione), presentandosi come potenziale competitore dei conservatori in un sistema che avrebbe dovuto diventare pressoché bipolare. (Come si può notare, i giornalisti stranieri di solito designano i partiti islandesi con termini quali socialdemocratici, conservatori, ecc. che non sono una traduzione letterale dei loro nomi ufficiali ma rendono l’idea della loro vicinanza ideologica ai partiti di altri paesi europei). In realtà lo sfondamento non avvenne e Samfylkingin conseguì percentuali di solito inferiori al 30%.

12 Ad esempio il “forum rosso”, http://raudurvettvangur.blog.is/blog/raudurvettvangur

13 Merita ricordare che tra i romanzi di Halldór Laxness, premio Nobel per la letteratura nel 1955 e popolarissimo in Islanda, ve ne sono almeno due, Atómstöðin (La base atomica) e Salka Valka, che pongono in primo piano le lotte sociali nella prima metà del novecento.

14 Il programma con cui si è candidato Jón Gnarr era un’evidente presa in giro delle promesse elettorali: comprendeva asciugamani gratuiti nelle piscine comunali, l’acquisto di un orso bianco per lo zoo di Reykjavík (che non ha uno zoo) e la lotta alla corruzione nascosta attraverso la pratica della corruzione palese.

 15 Icenews, 29 novembre 2011, http://www.icenews.is/index.php/2011/11/29/icelandic-fisheries-minister-seems-to-beon-the-line-but-says-his-job-secure/

16 Vedi anche Árni Daniel Júlíusson, “Inspired by Iceland… No, really!”, post del 7/10/2011 sul blog Saving Iceland, http://www.savingiceland.org/2011/10/inspired-by-iceland-no-really

17 Trotskij L.D. (1930), La rivoluzione permanente, ed. it. Mondadori.

18 vedi Byock J.L. (1992) “History and the Sagas: The Effect of Nationalism”, in Gísli Pálsson (ed.), From Sagas to Society: Comparative Approaches to Early Iceland (pp.43-59), Hisarlik Press.

19 La blogger islandese Alda Sigmundsdóttir dichiarava: “Ultimamente, il comportamento che alcune istituzioni europee hanno avuto nei nostri confronti ha fatto perdere la fiducia della popolazione nei confronti dell’Unione perché ci è sembrato evidente che nel cuore dell’ Europa ci fossero ben altre preoccupazioni che quelle per i cittadini islandesi.” Vedi intervista alla rivista Limes, http://temi.repubblica.it/limes/la-bancarotta-islandese/6832, raccolta da A. Meringolo il 6/10/2009.

20 Seðlabanki Íslands, Economy of Iceland, 6 ottobre 2010. Vedi: http://sedlabanki.is/lisalib/getfile.aspx?itemid=8134

21 Gísli Pálsson, Agnar Helgason (1995). Figuring fish and measuring men: the individual transferable quota system in the Icelandic cod fishery. Ocean and Costal Management, 28, 117-146.

22 Vedi anche: Gísli Pálsson (1994). Enskilment at sea. Man: The Journal of the Royal Anthropological Institute, 29, 901-927.

23 In agosto l’editoriale della rivista Fiskfréttir, dell’associazione degli industriali della pesca, scriveva: “È impossibile predire l’esito di questa controversia. Una cosa è chiara, però: la discussione in parlamento quest’inverno proseguirà in modo accanito.” cfr. http://www.worldfishing.net/features101/new-horizons/fierce-battle-over-icelandic-fishery-system Vedi anche Icenews del 29/11 (cfr. nota 15).

24 Nordicum-Mediterraneum, vol.6 (2011), n.1. Vedi: http://nome.unak.is/nm/6-1/21-interview/261-reflections-on-theeconomic- crisis-one-year-on-an-interview-with-huginn-freyr-torsteinsson

25 Mi riferisco a ciò che un tempo era variamente chiamato l’intellettuale collettivo, il partito rivoluzionario, il partito di classe, l’avanguardia politica: ci sono sfumature di significato che differenziano questi termini (che peraltro spesso ogni organizzazione si auto-attribuiva in modo gratuito) ma, a fronte del deserto attuale, è meglio non addentrarsi in queste sottigliezze e adottare un termine volutamente generico e minimale, “organizzazione politica adeguata”.

26 L’OCSE ha previsto per il 2012 una crescita del PIL dell’Islanda del +2,4% (contro -3,2% del Portogallo, -3% della Grecia, -0,5% dell’Italia). Italia, Portogallo, Grecia avranno tutte una contrazione nel 2012, mentre Spagna, Francia, Paesi Bassi e Germania rimarranno ferme. La politica islandese di drastica svalutazione assieme al controllo dei capitali non è stata il disastro che in tanti avevano diagnosticato. Vedi: Evans-Pritchard A., “Iceland wins in the end”, The Telegraph (28 novembre 2011), http://blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100013462/iceland-winsin-the-end/.  Anche sul piano strettamente economico, le soluzioni islandesi funzionano!

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